OPEC, MENO PETROLIO CONTRO LA POLITICA ENERGETICA USA E I PREZZI VOLANO

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

 

Agli americani sulla politica energetica (ma anche altro), non obbedisce più nessuno, tranne gli europei che con l’aggressione di Putin all’Ucraina hanno sanzionato la produzione russa sia di gas che di greggio. Kuwait, Emirati Arabi Uniti e l’Algeria hanno seguito l’Arabia saudita, mentre la Russia prevede di continuare a tagliare la produzione per tutto il 2023.
Previsioni sul prezzo del Brent a 95 e 100 dollari al barile rispettivamente per questo e il prossimo anno. Rincari dei carburanti e dei trasporti e di nuovo il crescere dei costi di bollette di luce e gas e della borsa della spesa.

La guerra mondiale dell’energia

Quella per l’energia è una guerra mortale, che sta plasmando il mondo che verrà. Mascherati dietro battaglie travestite da nobili ideali, si scontrano interessi colossali, dove la geopolitica e non l’amore per l’ambiente ha la sua ultima parola. Così la guerra in Ucraina, con l’effetto-domino delle sanzioni economiche alla Russia, è diventata l’elemento catalizzatore di una tormentata transizione energetica, dal fossile alle ‘rinnovabili’. Accelerare questo passaggio, significa, mettere Putin e chi non gli è nemico (Cina, India, “non allineati”) all’angolo. Logico, quindi, che la contrapposizione stia diventando sanguinosa.

Opec Plus, Usa meno

In questi giorni, l’Opec Plus, l’Organizzazione dei produttori di petrolio, allargata alla Russia e ad altri Paesi, ha deciso, abbastanza a sorpresa, di tagliare ancora le esportazioni. I prezzi sono immediatamente schizzati all’insù di circa il 6%, con il Brent che ha toccato gli 85 dollari al barile. Guidati da una politica sempre più aggressiva (e antiamericana) dell’Arabia Saudita, i Signori del greggio hanno annunciato che, viste le condizioni dei mercati, abbasseranno l’attuale capacità produttiva di oltre un milione di barili al giorno. Una buona metà di questa contrazione, che dovrebbe durare fino alla fine dell’anno, sarà sostenuta dai sauditi, che hanno cercato di spiegarla con motivazioni di carattere finanziario.

“È stata tirata in ballo (ad esempio e per chi ci crede) la scoppola subita dalle casse del Regno, per il default del Credit Suisse. Si parla di una perdita secca di circa 1 miliardo e mezzo di dollari”.

Non economia ma geopolitica

Ma le ragioni profonde sono non solo economiche, ma anche squisitamente geopolitiche e nascono dal progressivo avvicinamento, di gran parte del mondo arabo, al blocco Cina-Russia. Dietro la forbice dei tagli, infatti, ci sono Paesi come l’Algeria, gli Emirati, il Kuwait, l’Oman e, soprattutto, l’Irak. Quest’ultimo, dovrebbe diminuire la sua produzione giornaliera di 200 mila barili. Una scelta che pesa, visto che è esattamente il contrario di ciò che si aspettavano gli Stati Uniti. Che pure hanno fatto una sanguinosa guerra per ‘liberarlo’. Ma, come dicevamo, è la geopolitica ciò che sta, veramente, dietro ad eventi che dovrebbero essere solo di natura mercantile.

La pace cinese nel Golfo Persico

Proprio di recente, Pechino ha fatto segnare un clamoroso successo nel Golfo Persico, riuscendo brillantemente a mediare tra due nemici storici, come l’Iran e la stessa Arabia Saudita. La Casa Bianca ha maldestramente condotto, nella regione, un’attività diplomatica di progressivo ‘sganciamento’. Riuscendo anche a inimicarsi un alleato storico come il Principe saudita bin Salman. Quando Biden ha cercato di riparare, era ormai troppo tardi. Russi e cinesi erano stati lesti a colmare il vuoto di potere lasciato dagli Stati Uniti. Proprio per questo, le continue sollecitazioni del Presidente Usa, affinché l’Opec alzasse le sue quote produttive, sono rimaste desolatamente inascoltate.

“Anzi, hanno sortito l’effetto contrario, al punto tale che il disastro della foreign policy americana in Medio Oriente, e nel Golfo Persico in particolare, supera di gran lunga la sconclusionata fuga dall’Afghanistan”.

Russia non isolata

La Russia, dal canto suo, sta spalleggiando efficacemente l’Opec e si è impegnata a tagliare la sua quota produttiva di almeno mezzo milione di barili di greggio al giorno. Queste ulteriori riduzioni, vanno ad aggiungersi a quelle decise lo scorso ottobre, quando vennero tolti al mercato internazionale, quasi in un colpo solo, circa due milioni di barili di petrolio al giorno.

Quale energia per produrre?

In questo momento, la crescita ‘duale’, che contrappone i tipi di energia utilizzati nei processi produttivi, sta plasmando il mondo in due blocchi. Le ‘rinnovabili’ inquinano molto di meno, ma attualmente costano molto di più. Sono energie ‘per Paesi ricchi’. Con i carburanti fossili, il discorso è esattamente al contrario. Questo è il principale motivo per cui l’Occidente, nel Terzo mondo, perde pezzi. Semplicemente, si è creata una linea di ‘cointeressenza’ tra produttori di gas, petrolio e carbone e utilizzatori di materie prime a buon mercato.

“Insomma, se la “transizione verde”, vagheggiata dall’America e dall’Europa, non terrà conto anche dei bisogni dei Paesi in via di sviluppo, il risultato finale sarà quello di spaccare il pianeta, irrimediabilmente, in due blocchi contrapposti”.

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AVEVAMO DETTO

 

 

Articolo di Piero Orteca dalla redazione di

4 Aprile 2023