SEPARATI IN CASA

DI MIMMO MIRARCHI

REDAZIONE

 

In una democrazia, affinché essa sia piena e assoluta, è necessario avere un partito o una coalizione che governi e uno o più partiti che esercitino una sana e propositiva opposizione, possibilmente in sufficiente sintonia tra loro. Questo è quanto NON accade in questo momento in Italia. Al governo c’è un raggruppamento che di coeso non ha nulla e all’opposizione ognuno va per conto suo, spesso in contrapposizione tra loro.

Giorgia Meloni è attualmente premier mal sopportata dai compagni di cordata, Berlusconi e Salvini. Questi, pur avendo, obtorto collo, accettato che la leader di Fratelli d’Italia guidasse il governo, non perdono occasione di distinguersi e cercare di farle ombra. Non va meglio sull’altro fronte, dove Pd e M5Stelle viaggiano in completa dissonanza e la coppia di comodo Calenda-Renzi ha comportamenti che spesso fanno pensare a potenziali fiancheggiatori del governo. Di tutti, però, sorprende maggiormente il Pd, che non riesce in alcun modo a rappresentarsi come un partito degno della tradizione democratica di questo Paese. Eppure Enrico Letta a urne nazionali chiuse e sconfitta conclamata fece sapere che il Pd era il maggior partito di opposizione, la qual cosa ha confermato oggi dopo le regionali in Lazio e Lombardia. Una consolazione che ha del ridicolo e patetico insieme se si considera che circa il 60% degli cittadini non è andato a votare, tra i quali è concretamente ipotizzabile che vi siano moltissimi elettori di sinistra, quanto meno bendisposti a votare un partito progressista degno di questo nome e azioni conseguenti. Un partito che non c’è e che al momento nessuno intende rappresentare. Non lo è il Pd, ma non convincono neanche Art.1 e Sinistra Italiana. Ancor meno trova appeal Unione Popolare. E nemmeno il M5Stelle, che Conte vorrebbe collocare in un’area di sinistra, nei fatti è ancora alla ricerca di un’identità e un progetto politico.

È il Pd però, dicevamo, che resta al centro dell’interesse generale, proprio perché da partito di grandi speranze sembra aver perso del tutto la sua ragion d’essere, al punto tale che manifesta inconsistenza giorno dopo giorno e si rivitalizza solo attraverso l’incapacità degli incauti e ignoranti esponenti di maggioranza, fratelli meloniani in testa.
La sua labilità politica, si sa, viene da lontano. Dal 2007, anno della sua costituzione, si sono avvicendati ben otto segretari, nessuno dei quali è riuscito a portare a termine il suo mandato. Tutti dimissionari per sconfitte elettorali o profonde divisioni interne. Com’è noto la storia del Pd ha inizio con l’intento di unire la parte progressista del socialismo e del cattolicesimo democratico. Nel tempo, però, le due anime fondatrici, anziché fondersi si sono ulteriormente divise fino a determinare una galassia eterogenea che non si riconosce in unità filosofica, non c’è reciproca stima tra le varie anime e non persegue comuni obiettivi. E non è esagerato affermare che le varie correnti che oggi imperversano al suo interno sono spesso impegnate in lotte di potere, che non di rado sconfinano verso interessi di carattere personalistico. In un partito proveniente da nobili tradizioni non è comprensibile la presenza di raggruppamenti con un pensiero e un progetto politico molto distante l’uno dall’altro, ancor meno comprensibile è non riuscire a riconoscerne le finalità, lo scopo e la ragione “sociale”. Negli anni, il Pd, si è sempre più separato dal mondo del lavoro e dai ceti popolari mostrando sempre più scarsa incisività nella difesa dei diritti e nella lotta per la giustizia sociale. Il suo gruppo dirigente si è impegnato solo e soltanto per il mero consenso elettorale abbandonandosi a politiche di mediazione finalizzate ad occupare posti di potere in un sistema di governo nazionale alquanto fragile, perché di volta in volta fatto di partiti vuoti di ogni progettualità politica e dediti ad inseguire gli umori volatili dei frequentatori di social. Al governo o all’opposizione, col PD è aumentato il precariato, abbiamo gli stipendi più bassi d’Europa, è diminuita la sicurezza sul lavoro, il caporalato imperversa più che mai, si è ampliata la platea dei poveri, funzionano sempre peggio la sanità, la scuola è abbandonata a sé stessa. E come se non bastasse non ha preso nessuna iniziativa per sanare il territorio devastato dagli incendi d’estate e travolto dalle alluvioni in inverno. Non ci si può meravigliare, quindi, se il suo elettorato tradizionale, vedendolo dentro un pensiero neoliberale, si è rifugiato nell’astensionismo, quando non ha abbracciato, a mo’ di salvagente, quel populismo pentastellato di corto respiro.

Assemblea nazionale costituente del Partito democratico

In questo caravanserraglio, ora si avviano verso un congresso dagli esiti già scontati. È presumibile che Stefano Bonaccini sarà il nuovo segretario e tutto continuerà a scorrere nel medesimo alveo di sempre. De Micheli troverà una nuova collocazione, Cuperlo tornerà a fare il grillo parlante e Schlein giorno dopo giorno esaurirà la sua spinta riformatrice. Tutto cambia, ma le separazioni restano. Almeno questi sono i presupposti.

Capito perché una come Giorgia Meloni, con quella corte di incapaci che si ritrova, fa il presidente del Consiglio? Capito perché uno come Matteo Salvini e la sua banda occupano posti importanti nel panorama politico italiano? Capito perché uno come Berlusconi, pur non avendo più nulla da dire, continua a piazzare i suoi maggiordomi nelle Istituzioni? Intanto nell’Unione Europea ci considerano sempre meno.

Articolo di Mimmo Mirarchi da
15 Febbraio 2023