MA L’ITALIA NON RIPUDIA LA GUERRA

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Quando, il 26 giugno 1945, venne varata a San Francisco la Carta delle Nazioni Unite, gli Stati firmatari decisero che ogni conflitto armato sarebbe stato gestito unicamente dall’alto.
Nacque così l’art. 51 della Carta ONU: «Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale».
Da questa norma, posta al vertice della gerarchia delle fonti del diritto internazionale, emerge un dato inequivocabile. La guerra difensiva, intesa come reazione ad un attacco armato, è sempre ammessa, anche per chi decide di intervenire in aiuto di uno Stato aggredito. Ma le relative operazioni militari dovranno avere la durata strettamente necessaria per consentire al Consiglio di Sicurezza ONU di riunirsi e dare disposizioni, anche implicanti l’uso della forza, per risolvere il conflitto.
In altre parole, il Consiglio di Sicurezza detiene il monopolio dell’uso della forza.
Ma il conflitto russo-ucraino ha creato un evidente corto circuito, essendo la Russia uno dei Cinque Grandi che dispongono, in seno al Consiglio, del diritto di veto su ogni decisione a carattere militare. Diritto che Mosca, per evidenti motivi, certamente eserciterebbe. Inutile anche solo riunirlo il Consiglio di Sicurezza.
Con una conseguenza paradossale. Tecnicamente una guerra mondiale non potrebbe mai considerarsi illegale, proprio a causa del diritto di veto esercitabile da quel Paese che dovesse scatenarla.
E allora la soluzione va cercata nei singoli ordinamenti di quegli Stati che vi partecipano. Ebbene, soltanto due Stati prevedono, nelle rispettive Costituzioni, un esplicito riferimento alla guerra: il Giappone e l’Italia.
Gli effetti disastrosi provocati dalla decisione di Mussolini di entrare in guerra giustificarono la perentorietà con cui il Costituente escluse per il futuro la possibilità che l’Italia potesse partecipare ad un conflitto armato. Nacque così l’art. 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Il termine «ripudiare» indica una chiara, ostentata e irreversibile rottura con il passato. Solo se aggredita, l’Italia potrebbe fare uso della forza.
Altrettanto netta è la presa di distanza del Giappone dalla guerra, che si ricava dall’art. 9 della sua Costituzione: «È fatta rinuncia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, e alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie con altre nazioni. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà mai riconosciuto».
L’art. 51 della Carta ONU, norma sovraordinata a tutte le Costituzioni, consentirebbe all’Italia, ma solo temporaneamente, persino di mandare truppe in Ucraina, Paese aggredito. Ma di fronte ad una totale paralisi del Consiglio di Sicurezza l’Italia non potrebbe inviarle nemmeno una fionda, proprio per la presenza nella nostra Costituzione dell’art. 11, che riacquista tutta la sua operatività ogni volta che l’art. 51 della Carta ONU, come dire, si sgonfia per la paralisi del Consiglio di Sicurezza, dovuta al diritto di veto dei Cinque Grandi o al fatto che, in previsione del suo esercizio, il Consiglio nemmeno si riunisce.
Perché il termine «ripudia», nonché la logica ad esso sottesa, si riferisce non soltanto alla guerra aggressiva, quella che per intenderci fece Mussolini. Ma anche al semplice invio di armi ad un Paese aggredito, in assenza di una decisione del Consiglio di Sicurezza ONU. L’art. 11 della Costituzione lo dice chiaramente: non è questo il modo di risolvere una controversia internazionale.
Per questi motivi, tutte le leggi che ormai da un anno si succedono in Parlamento, e che prevedono l’invio di aiuti militari all’Ucraina, si pongono in insanabile contrasto con l’art. 11 della Costituzione.
E nemmeno ha senso distinguere tra armi da difesa e armi da attacco. Anche la fornitura di un’arma da difesa contribuisce comunque al prolungamento del conflitto. E per l’art. 11 della Costituzione, si tratta di un modo di risolvere una controversia internazionale che l’Italia ripudia.