FASCISTISSIMO

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

27 giugno del 1971, due testate, “L’Unità” e “Il Manifesto”, pubblicano un documento “bomba”, di quelli che non ammettono repliche.
E’ il “Manifesto della Morte”.
Si tratta di un comunicato che viene affisso nella primavera del 1944 sui muri delle case in molti paesi dell’alta Toscana, sotto occupazione nazista, rivolto ai soldati italiani “sbandati”, a quelli che dopo l’8 settembre si erano uniti alla Resistenza e ai partigiani che erano sui monti.
<<Consegnatevi entro le ore 24 del 25 maggio o sarete fucilati alla schiena>>. (nella foto il testo integrale).
Potrebbe essere un'immagine raffigurante testo
A firmarlo è il futuro segretario del Msi, Giorgio Almirante, a nome e per conto della “Repubblica di Salò”.
Almirante in quel periodo è capo di gabinetto del ministro della Cultura popolare, Fernando Mezzasoma. Un atto di collaborazionismo con i tedeschi invasori che costò la vita a migliaia di partigiani e semplici cittadini che non vollero servire i nazisti sotto la Repubblica fantoccio di Salò.
Un bando di fucilazione vergato da quello che Giorgia Meloni ha definito, a più riprese, un “patriota”.
Ecco il tweet che la papessa nera dedica ad Almirante in occasione di un anniversario: <<Amore per l’Italia, onestà, coerenza e coraggio sono valori che ha trasmesso alla Destra>>.
Un fatto rimasto avvolto nell’omertà, finché quel testo non viene scovato all’inizio degli anni Settanta negli archivi del Comune di Massa Marittima. “Paese Sera” titola in prima pagina: <<Almirante è un fucilatore di italiani e servo dei nazisti>>.
L’epiteto di fucilatore non va giù al leader del “Msi”, (che qualcuno traduceva in Mussolini sempre immortale), al punto da intentare un processo per diffamazione contro i direttori responsabili de “L’Unità” e “Il Manifesto”, Ricchini e Castellina, finito con la loro completa assoluzione.
Al termine del processo Almirante viene condannato a pagare i danni, ma “L’Unità” rifiuta i suoi soldi.
Nel 1973 un altro documento inchioda Almirante con le spalle al muro.
Dagli archivi della prefettura di Lucca spunta, bastava cercare, una copia di un telegramma con cui Almirante ordina alle autorità periferiche, nel 1944, la diffusione del bando di proscrizione. Si tratta del telegramma numero “2082” inviato ai capi provincia in data 9 maggio 1944 e firmato testualmente: per Mro Mezzasoma capo di gabinetto Giorgio Almirante.
Nel 1972 Almirante, ancora querelante, perde un altro processo per diffamazione contro quattro esponenti del Psi. La sentenza è netta sul profilo del caporione missino: <<Nella Repubblica sociale italiana la posizione dell’onorevole Almirante era non certo limitata a compiti amministrativi, ma integrante per la sua natura eminentemente politica, una partecipazione attiva, cosciente e responsabile a tutte le iniziative che il regime, ormai in stato agonico, assumeva via via nel suo sforzo di sopravvivenza.
Tutto ciò pone in netto risalto una corresponsabilità certamente morale dell’onorevole Almirante con le scelte di quel regime ed in particolare a quelle specifiche del Minculpop (Ministero della culura popolare). Questa responsablità si aggrava ulteriormente con la partecipazione diretta alla formazione delle brigate nere>>.
Chi è antifascista sa bene chi è stato Giorgio Almirante, per esempio cosa scrisse su “La Difesa della razza”(rivista pubblicata all’epoca dalla Repubblica di Salò), in data 5 maggio 1942: <<Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Altrimenti, – dice Almirante – finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei>>.
Chi è antifascista sa bene che cosa è stato il “Movimento Sociale” di Almirante, Romualdi, Michelini, De Marsanich, Junio Valerio Borghese, Rauti, Gianfranco Fini.
Chi non dimentica sa bene chi è la seconda carica dello Stato, Benito Ignazio la Russa e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Le chiacchiere e le supercazzole stanno a zero.
Alfredo Facchini
(prima parte)