NOI

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Il 18 gennaio 1943, l’Armata Rossa rompe, dopo più di 2 anni, l’assedio nazista di Leningrado.

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La città perse circa un milione di abitanti. La razione giornaliera era di 125 gr di pane e la gente moriva stremata nelle strade.
Eppure i cittadini, per salvare i soldati feriti, donarono 144 mila litri di sangue.
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Altri tempi. Un’altra umanità. Si chiamava appartenenza. Quando “noi”, era il plurale di “io”. Quando “noi” era sempre davanti a tutto.
Oggi se stiamo come stiamo è perché l’individualismo è il generatore di tutte le cose. Siamo soli: senza scopi e punti di riferimento. Senza qualcosa di nitido davanti a sé. Viviamo immersi in una condizione di assoluto spaesamento.
Dopo la sconfitta delle identità collettive gli “Altri” sono branco o folla indistinta. Aristotele diceva <<Se uno pensa di poter fare a meno degli altri o è bestia o è Dio>>.
Nell’era della tecnica e degli individualismi, la materia prima che scarseggia di più è proprio il senso di appartenenza.
Appartengo ad una Generazione che quando accadeva qualcosa di brutto in Cile o in Palestina, era come se fosse accaduto qui. Anche se non calpestavamo la stessa terra.
Se stavano male loro, stavamo malissimo anche “Noi”.
<<L’appartenenza – cantava Gaber – è avere gli altri dentro di sé>>.
Era come se si appartenesse allo stesso gruppo sanguigno.
Ora che hanno colonizzato anche il nostro immaginario, ci hanno convinto che ci si salva da soli. Si pensa di poter fare a meno degli Altri. Così finiamo per barcamenarci tra uno sterile ribellismo e una angosciante rassegnazione. Senza interesse per il futuro, e nemmeno per il passato, che appare come un’ accozzaglia di modelli superati.
C’è da vivere solo in un eterno presente nella ricerca spasmodica del proprio microscopico interesse personale.
La crisi del lavoro, sempre più precario e smaterializzato, la supremazia delle nuove tecnologie, la sfiducia nella politica passata nelle mani di entità sovranazionali e di grandi gruppi finanziari, ha contribuito ad accelerare questo mutamento antropologico.
<<Per dirla con Spinoza, viviamo in un’epoca dominata da quelle che il filosofo chiama le passioni tristi, dove il riferimento non è al dolore o al pianto, ma all’impotenza, alla disgregazione e alla mancanza di senso, che fanno della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l’Occidente ha saputo adattarsi>>. (Umberto Galimberti)
Le società ideali dovrebbero stare in piedi su basi sentimentali e non rispondere solo e soltanto a criteri di efficienza e consumo.
Il consumismo, che ormai è un fanatismo di massa globale, ci ha mutati in <<consumatori consumati>, condannati ad un godimento continuo e per questo inappagabile.
L’alternativa?
Coltivare la conoscenza. Innaffiare le radici. Espandere i diritti, da quelli civili a quelli del lavoro. Abbattere muri. Esercitare l’antifascismo, che non è semplicemente una presa di posizione contro la malvagità del fascismo. Essere antifascisti oggi è un metodo di interpretazione della Storia. Uno strumento di valutazione del passato, affinché quel passato non si ripresenti più.
Convincersi che si vince e si sogna solo insieme. Non da soli. Chissà, a forza di versare gocce, il mare si può anche riempire.