LA FRENATA DELL’ECONOMIA E GLI EQUILIBRI DI POTERE IN CINA. TRA XI E LI

DI PIERO ORTECA

 

 

Anche i più acerrimi avversari della Cina, nel mondo globalizzato, non possono più augurarsi che la quasi prima economia planetaria esploda. O almeno così suggerirebbe il buon senso politico economico, virtù difficile tra chi il primato non vuole perderlo.
‘I risultati migliori possibili’ l’obiettivo economico a cui il Politburo cinese a fine luglio ha annunciato di ambire. Una mancanza di precisione voluta rispetto al +5,5% del PIL inizialmente annunciato per il 2022: un fallimento da far passare in sordina nell’anno in cui Xi Jinping cerca di superare il terzo mandato.

Se Atene piange, Sparta non ride

La straordinaria crisi economica, che sta attanagliando l’Occidente, si è ormai spalmata a livello planetario, colpendo tutti. Nessuno escluso. Certo, la sua diffusione e il suo impatto sono “a macchia di leopardo”, perché gli effetti sono strettamente correlati alle specificità di ogni sistema-paese.

Dimensione Cina

Dire, dunque, che “la Cina è in crisi” richiede degli approfondimenti e anche un’analisi comparativa delle quantità in gioco. Nel senso che ciò che per la Cina viene valutato come “crisi”, per noi può invece essere un risultato accettabile. Mentre “trend” economici e numeri attuali di tipo europeo, a Pechino, sarebbero considerati devastanti e tali da giustificare l’immediata defenestrazione della classe dirigente.

Leadership politica

Abbiamo fatto questa premessa per dirvi due cose, che adesso saranno più comprensibili a tutti: l’economia cinese perde colpi e, se la congiuntura dovesse peggiorare, il leader Xi Jinping potrebbe rischiare la poltrona in autunno, al Congresso del Partito comunista. Ipotesi, obiettivamente, azzardata, ma non completamente campata in aria. La crescita del sistema produttivo, a luglio, ha avuto un brusco rallentamento. Più di quanto si pensasse. Produzione industriale, investimenti, consumi, occupazione e mercato immobiliare hanno fatto segnare performance sconfortanti.

Politica “zero Covid”

La politica “zero covid”, imposta da Xi, con giganteschi e draconiani lockdown, che hanno semiparalizzato interi settori dell’export, ostacolando anche la domanda interna, ha avuto, secondo molti analisti, effetti pesantemente negativi. Il porto di Shanghai è rimasto a lungo bloccato, sconvolgendo la catena internazionale di approvvigionamento di materie prime e semilavorati.

Ripresa lenta

La riapertura quasi normale dell’attività, però, non ha fatto raggiungere agli scambi i livelli pre-crisi. In questa fase, le aspettative di imprese e consumatori sono pessimistiche e si riflettono su una riduzione progressiva delle attività finanziarie. L’economia, insomma, sta rallentando in modo significativo e, all’orizzonte, potrebbe anche esserci lo spettro di una crescita molto bassa, se non di una vera e propria stagnazione.

L’impossibile “crescita permanente”

Una catastrofe nazionale, per chi ha fatto dei tassi di sviluppo intorno all’8% annuo del Pil una bandiera, non solo economica, ma soprattutto ideologica. E i dati che arrivano sulla disoccupazione giovanile (quasi il 20%) sono uno schiaffo ulteriore alla propaganda di un regime che ha fatto del “ringiovanimento” una filosofia politica, sottolineandolo in tutti i Piani quinquennali.

Politica monetaria all’incontrario

La frenata del Pil ha infine convinto la Bank of China ad adottare una politica monetaria tutta sua, con una strategia che è all’opposto di ciò che stanno facendo gli istituti centrali di emissione in Occidente. Pechino, infatti, ha abbassato due volte i tassi e ha immesso massa monetaria in circolazione (60 miliardi di dollari). Meglio l’inflazione che la stagnazione, insomma.

Inflazione governata

Anche perché, finora, i prezzi li hanno controllati bene e i rialzi si sono fermati al 2,7%. E poi, politicamente parlando, l’inflazione rende di più, perché, nel breve periodo, maschera magagne più gravi. Lo hanno fatto gli Stati Uniti e l’Europa. E ora lo fa Xi Jinping che, in autunno, al XX Congresso del Partito comunista, conta di essere riconfermato Segretario generale, abbattendo il tabù dei tre mandati.

Potere interno al PCC

Le cose andranno per il verso giusto se l’economia non deraglierà, anche se non è mai prudente dare tutto per scontato in un’autocrazia. Specie in un sistema di potere come quello cinese, che facciamo l’errore di associare specularmente a modelli a noi più vicini. Attenzione, però, a ricordare sempre la specificità del Paese di cui stiamo parlando.

Dimensione Cina

Gli analisti parlano di “crisi” perché la Cina nel 2022 fallirà l’obiettivo di raggiungere un incremento del Pil di 5,5%. Si fermerà tra il 3 e il 4%, che viste le premesse è già un eccellente risultato. La produzione industriale, a luglio, rispetto alle previsioni di un + 4,5% ha registrato un aumento minore, di 3,7%. Che, comunque, è sempre un incremento rispettabile. La bilancia dei conti correnti, poi, è cronicamente in attivo, mentre l’unica vera macchia sulla “fedina penale economica” della nazione è il primo quadrimestre di quest’anno, quando il Pil, a causa dello “zero covid” voluto da Xi, è crollato del 10%.

Tra Xi e Li

“Se il leader cinese vorrà essere riconfermato alla guida del Paese, deve sperare che nessuno, al prossimo Congresso del partito tiri fuori dall’armadio questo scheletro ingombrante. Anche se non siamo sicuri che goda della stima incondizionata di tutto il Politburo, a cominciare da quella del premier, l’economista “pragmatico” Li Keqiang. Se le cose dovessero mettersi male, segnatevi questo nome”.

da:
16 Agosto 2022

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PIERO ORTECA

Piero Orteca, giornalista, analista e studioso di politica estera, già visiting researcher dell’Università di Varsavia, borsista al St. Antony’s College di Oxford, ricercatore all’università di Maribor, Slovenia. Notista della Gazzetta del Sud responsabile di Osservatorio Internazionale.