“25 NOVEMBRE E RINASCITE”

DI DANIELA YAYA DI CAMILLO
CLAUDIA SABA

Un sacco di tempo fa avevo un altro nome.
Poi l’ho cambiato.
Sono diventata Lienza, una donna piena di dolori che non la schiacciano. Sicuramente dopo quel corpo che in una macchina in riva a un lago mi ha oppressa, schiacciata, derubata e ferita, niente riesce più a calpestarmi allo stesso modo.
Ti ricordi Resi?
Io ricordo bene cosa è successo e come, di chi era quel corpo e quella bramosia di possedermi senza il mio permesso, il mio consenso. E in quel momento, pensando a quanto fosse doloroso, meschino, vergognoso quel gesto, lo indossai come fossero mie le colpe e non ebbi mai il coraggio di rivelarlo. Altri tempi, altri modi di pensare e i centri antiviolenza e le associazioni che avrebbero potuto aiutarmi, non c’erano mica. Quanti anni sono passati? Tanti, ma mai troppi per potermi dimenticare quel momento. E sai cosa? Ogni volta che leggo il titolo  di un giornale che parla di donne maltrattate, stuprate, uccise, io provo di nuove quelle esatte sensazioni di smarrimento, paura e vergogna. Non passa mai, io so lo e anche tu conosci bene quelle sensazioni. Per questo poi ci dividiamo dagli altri, pur cercando sempre la comprensione di chi, per qualche motivo, ha trovato il mostro dietro l’angolo della sua vita. Una vita piena di speranze e illusioni, di progetti e sogni. Ma all’improvviso arriva una realtà che non è realtà, perché nella normalità mica tutte incontrano l’orco cattivo! Cerchiamo comprensione…già, la comprensione delle nostre sorelle che invece molto spesso inveiscono contro di noi, non capiscono cosa succede alle anime profanate. E allora senti le frasi opposte a quelle che vorresti, che  dovresti sentire. “Se l’è cercata!” “Perché va in giro da sola la sera tardi!” “ Ma a me non succede perché io mica vado a certe feste!”
E ti accorgi che paradossalmente sono tutti giustificati a farti passare il resto della vita con lo scudo in mano, cercando di difenderti sempre, anche da chi non ti farebbe del male. Ma essendoti fidata una volta in più, sai bene come potrebbe finire. Ci vogliono anni di terapia, di dolore attraversato, di ago e filo per rappezzare i tagli dell’anima e del cuore, di paure superate con una zattera instabile in un maremoto. E poi resta il ricordo, che fa male solo un po’, il rimpianto per non avere urlato il dolore e puntato il dito contro quell’uomo che in pochi minuti interminabili ci ha rubato dignità. Ma anche la forza di ricominciare, di urlare per quelle sorelle che sappiamo accogliere  e ascoltare quando ci incontrano tenendosi gli occhiali scuri per non mostrare gli occhi pesti tra lividi e pianto. Prima non c’erano mica i centri antiviolenza, ma forse la legge incauta e sorniona non ci avrebbe comunque dato modo di uscirne. Sconfiggere cultura e educazione patriarcali non è semplice neanche in quest’era…
Lo so che tu conosci bene queste sensazioni Resi, ma dimmi di te e come stai ora…

Ricordo bene anch’io.
Ogni singolo momento di quella sera.
I bambini che dormivano.
La porta e il buio dentro che mi ricoprì.
Pensavo lui fosse addormentato così tirai un respiro di sollievo.
Ma durò poco.
Lui mi aggredì alle spalle.
Mi picchio’ forte con i pugni chiusi.
Mi buttò a terra, mi strappò i vestiti e mi lego’ i polsi ai piedi del tavolo.
Si scagliò sopra di me.
E mi violentò.
Urlai.
Urlarono i bambini chiusi nella stanza.
Mentre lui godeva.
Incurante delle nostre grida.
Mi lascio lì, per terra.
Con la pelle piena di lividi.
Poi andò a dormire come nulla fosse accaduto.
Raccolsi tutto il dolore e lo nascosi fino all’indomani quando riuscii a fuggire lontano da quella casa.
Esausta dopo tanta violenza.
Abbandonando ogni cosa, insieme a tutti i rimorsi che pungevano dentro.
La terapia mi ha salvato.
Non da lui ma da me stessa.
Ricordai tutto quello che mi aveva fatto male da sempre.
Il gioco.
La bambina ferita.
La donna a metà.
Quelle parole che premevano nel petto sempre più forti.
“Ti sei fatta bella per il tuo papà?
Vieni, vieni tra le mie braccia”.
Poi la luce entrò prepotente.
E da spettatrice diventai attrice della mia vita.
Con un solo desiderio.
Imparare ad amare.
Ad amarsi.
E ce l’ho fatta.
Ad amare, ad amarmi.
A ricominciare.
A sconfiggere il pregiudizio.
Come hai fatto anche tu, cara Lienza.
E come noi, tutte le donne violate possono uscire dalla violenza e tornare finalmente a vivere.

Vedi cara Resi ogni volta che ti ascolto, che ti guardo, io mi ascolto e mi guardo, storie diverse ma stessi battiti di cuore mancanti.
Potremmo indicare con esattezza i segni della violenza sull’anima dell’altra.
Ma basta guardarci silenti e sapere che noi ci siamo, per noi e per chi sappiamo riconoscere ancora vittima.
Del resto anche tu avevi un altro nome tanto tempo fa…
Sarà per questo che oggi siamo Resi e Lienza? Molti ne parlano come un termine inesatto.
“Resilienza” si usa in fisica, è sbagliato!
Ma in psicologia, è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà e noi sappiamo che rimase solo un mattone di quel nostro muro di sogni e da quello siamo partite, per affrontare e diventare quel che siamo oggi.
Grazie sorella, un piacere ritrovarti .
Abbi cura di te.
Claudia Saba
Daniela Yaya Di Camillo