DI MARCO PROIETTI MANCINI
La storia che leggerete in queste poche righe non ha nulla di leggero, nulla di divertente. Nessun sorriso.
Un paio d’ore fa mi chiama Mo; “scendi, sono sotto casa, c’è una signora che si è fatta male.”
Sono sceso. La signora è molto anziana, avrà ottant’anni almeno. Scendendo dallo scalino del marciapiede ha messo male un piede, la caviglia si è piegata e spezzata di netto. Si sta gonfiando e l’osso sporge e le fa uscire il sangue. L’hanno piazzata su una sedia e sta lì a disperarsi, a piangere, a lamentarsi del dolore mentre dice “cos’ho combinato, cos’ho combinato!”
Mo sale a casa e accanto alla signora rimaniamo io e altri due uomini, due orchi, tanto grossi e brutti quanto di cuore buono.
Non possiamo fare altro che chiamare il centodiciotto a ripetizione, a ciclo, per sollecitare l’ambulanza. Che provare a confortare la signora. Uno dei due orchi l’abbraccia e la bacia. Non dovrebbe, ma lo fa e nessuno ha il coraggio di dirgli nulla.
“Nonne’, nonnetta, nùn piagne, vedrai che mò ariveno.”
Sapete quanto ci ha messo ad arrivare l’ambulanza?
Un’ora e un quarto.
Un. Ora. E. Un. Quarto.
Il personale del centodiciotto più disperato di noi.
“Non abbiamo mezzi, non sappiamo come fare, sono tutti in giro per chiamate Covid e poi quando sono ai pronto soccorso non riescono a lasciare il malato, quando lo lasciano devono essere sanificate.”
Una vecchietta, lasciata un’ora e un quarto in mezzo alla strada a piangere. Con una caviglia spezzata, l’osso che buca la carne e il sangue che esce. Il personale dell’ambulanza, quando arriva, stravolto dalla stanchezza e che si scusa. L’unica cosa che possono fare, senza che ne abbiano nessuna colpa.
Pregate Dio o chi cazzo volete voi che non vi venga un ictus o un infarto, che non abbiate un incidente serio, grave, in questo periodo. Perché non la scampereste. Non la scamperemmo.