COVID 19 E LA SINDROME DA PAESE DEI BALOCCHI

DI LIDANO GRASSUCCI

Mica ti telefona la malattia, non usa questa cortesia neanche il dolore. IL dolo che non è solo tuo ma anche condiviso dal mondo intorno. Non possiamo essere egoisti nel dolore, non possiamo dire “ma che fa, riguarda me”.
Oggi, o tra poco, forse ci diranno che la notte che avevamo conquistato con la luce dei lampioni e delle insegne non sarà in noi, ma di monadi chiusi in gabbia. Ma? Non possiamo permetterci di essere egoisti del dolore e non possiamo non tentare di salvarci per salvare.
Pensiamo, anche in questi giorni, che gli altri non ci riguardino: mi ammalo io che vi frega, mi salvo io e mi frego. Due porte chiuse. Come è chiusa l’idea che c’è anche un rischio necessario che non è generico rischio uguale agli altri, ma un rischio che vale la pena perché senza forse ci salveremo ora ma saremo condannati poi per sempre.
La scuola è un rischio che dobbiamo correre, la festa senza allegria è un rischio che non possiamo correre. Eppure la festa è il paese dei balocchi di Lucignolo e Pinocchio, la scuola il dolore della fatina. Già allora Collodi ci descriveva affollanti il luna park, svuotanti le aule delle scuole e non c’era pietà per la fata Turchina, ma consenso aveva Mangiafoco.
Lo dice l’allenatore della Nazionale di calcio Roberto Mancini: “abbiamo diritto al calcio”. Che è rivendicare il paese dei balocchi allo stesso modo della scuola, il giubilo della festa eguale al dolore della fata turchina.
Vecchi vizi di un paese dove il popolo ha in dono pane e giochi e non chiede mai libro e aratro per seminare il grano in testa e nella terra.
Il Covid? Ci fa emergere i vizi… perché debbo andare a scuola se il rischio è uguale a quello di fare festa? Perché a scuola scrivi il foglio di domani, alla festa lo strappi.
PAESE DEI BALOCCHI: luogo immaginario in cui si vive in una situazione di incondizionata libertà e di eterno divertimento.

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