LA POTENZA TECNOLOGICA DELLA PICCOLA TAIWAN

DI MICHELE MARSONET

Non è solo Hong Kong a turbare i piani di Xi Jinping e dei dirigenti del Partito Comunista Cinese. Occorre infatti aggiungere Taiwan, l’isola che la Repubblica Popolare considera a tutti gli effetti una propria provincia a dispetto dell’indipendenza reale di quella che si autodefinisce “Repubblica di Cina”.
Quando si parla del problema sembra di tornare agli anni ’50 del secolo scorso. Si rammenterà che dopo la vittoria comunista del 1949 e la fondazione della Repubblica Popolare da parte di Mao Zedong, i nazionalisti di Chiang Kai-shek si rifugiarono sull’isola – situata a soli 180 km dalle coste cinesi – che al tempo veniva chiamata Formosa (nome datole dai colonizzatori portoghesi nel XVI secolo), mentre oggi si chiama per l’appunto Taiwan.
L’area divenne uno dei maggiori punti di tensione durante la Guerra Fredda, e solo la protezione militare diretta degli Stati Uniti impedì a Mao di annetterla come provincia della Cina continentale. Il desiderio di annessione, tuttavia, non è mai venuto meno, e costituì uno slogan costante durante la Rivoluzione culturale.
Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti. La Cina si è trasformata in una superpotenza globale in grado di sfidare gli Usa e di diventare la seconda economia mondiale, espandendo la sua influenza – soprattutto economica, ma non solo – in ogni angolo del globo. Ma pure Taiwan ha avuto grandi successi. Nonostante le ridotte dimensioni, è diventata una delle “tigri asiatiche”, conoscendo anch’essa un impetuoso sviluppo economico.
Nel corso delle ultime elezioni sull’isola si sono fronteggiate due fazioni. Il Kuomintang, partito di Chiang Kai-shek un tempo indipendentista, è ora diventato fautore del riavvicinamento alla Repubblica Popolare. E’ invece nettamente anti-cinese il partito dell’attuale presidente (dal 2016) Tsai Ing-wen, prima donna a ricoprire tale incarico. Quest’ultima ha poi stravinto battendo nettamente i filo-cinesi.
Naturalmente c’era il convitato di pietra, vale a dire Pechino. Xi Jinping si era molto intromesso nella campagna elettorale, lasciando chiaramente capire che l’eventuale vittoria di Tsai Ing-wen sarebbe stata considerata dalla Repubblica Popolare un vero e proprio atto di guerra, ventilando pure la possibilità di un’invasione.
Com’era lecito attendersi questo atteggiamento ha molto favorito Tsai e il suo partito indipendentista. Si rammenti, tra l’altro, che Pechino ha sempre minacciato l’annessione forzata dell’isola senza mai dar seguito alla minaccia. Anche perché a Washington nessuno prende in considerazione la possibilità di accettare l’annessione.
Ciò che molti non sanno, tuttavia, è che Taiwan è diventata col tempo una potenza tecnologica di tutto rispetto. Oggi la grande maggioranza dei semiconduttori che formano la base degli apparecchi elettronici viene prodotta proprio sull’isola da tre aziende assai avanzate. Si tratta della “Taiwan Semiconductor Manufacturing Co.” (Tmsc), della “United Microelectronics Corp.” (Umc), e della “Powerchip Technology Co.” (Ptc).
Per comprendere l’importanza di tali industrie è sufficiente rammentare che, da sole, producono il 70% della fabbricazione mondiale di circuiti integrati. Ciò significa che da queste aziende taiwanesi proviene la gran parte dei circuiti integrati poi venduti alle fabbriche di ogni Paese che costruiscono e commercializzano i dispositivi hardware.
Ne dipendono quindi, e in misura assai rilevante, tanto le aziende Usa della celebre Silicon Valley, tanto quelle cinesi come, per esempio, la Huawei oggetto di pesanti sanzioni da parte dell’amministrazione Trump. Anche per questi motivi, dunque, Taiwan continua ad essere oggetto di desiderio per Pechino, mentre gli Usa sono disposti a tutto pur di impedire che l’isola entri nell’orbita della Repubblica Popolare.
Mette conto osservare che qui come altrove l’ombra di Hong Kong è ben percepibile. I taiwanesi temono di finire “prigionieri” di Pechino come accade agli abitanti della ex colonia britannica, e Tsai Ing wen ha sfruttato abilmente la situazione ribadendo in ogni occasione che mai Taiwan accetterà la formula “Un Paese, due sistemi” che a Hong Kong non ha funzionato.
La situazione è dunque molto complicata, anche per il fatto che le economie di Taiwan e della Repubblica Popolare hanno raggiunto un alto grado di interdipendenza per i motivi sopra spiegati. Dal canto suo Xi Jinping ha dichiarato di considerare “regionali” le elezioni di Taiwan, giudicando l’isola – pur indipendente – alla stregua di semplice provincia solo provvisoriamente separata. E’ chiaro che la netta vittoria dell’indipendentista Tsai pone a Pechino ulteriori problemi, in aggiunta a quello di Hong Kong. Si tratta quindi di un altro banco di prova molto importante per le ambizioni globali cinesi.