DI ANTONELLO TOMANELLI
Questa è la faccia di Nataliya Gebrich, attivista ucraina che vive a Firenze, la cui principale occupazione è girare la Toscana tentando di convincere enti pubblici e privati a non ospitare le opere degli artisti russi.
Intendiamoci, per una cittadina ucraina vedere il proprio Paese invaso e bombardato dall’esercito russo dev’essere un’esperienza tragica. Quindi, è anche comprensibile che faccia l’apologia del boicottaggio degli artisti russi, anche se probabilmente questa donna non conosce né la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta, tra le altre cose, ogni forma di discriminazione in base alla nazionalità, né l’art. 3 della nostra Costituzione, pur vivendo da tempo in Italia.
Sforziamoci di tollerare, da buoni democratici, che questa donna sul suo profilo facebook tessa le lodi di Stepan Bandera, quello che tra il ’42 e il ’44, in qualità di comandante dell’UPA ucraina, parve dare un bel contributo allo sterminio di 100 mila polacchi e di un milione e mezzo di ebrei sovietici, in larga parte donne e bambini, definendolo, ciononostante e con la faccia seria, un eroe nazionale.
Sorvoliamo sul fatto che questa donna affermi con convinzione che quelli del battaglione Azov sono bravi ragazzi e non criminali, pur sapendo che Amnesty Intermational e l’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, se non li ha definiti proprio tali, poco ci manca, avendo stilato numerosi rapporti che hanno accertato una miriade di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel Donbass sotto le presidenze Porošenko e Zelensky.
Ma, come si dice, c’è un limite a tutto.
Un amico di Facebook mi ha segnalato un’altra attività, collaterale ma clandestina, svolta da questa donna: individuare chi non la pensa come lei sul conflitto russo-ucraino e comunicarne i dati personali a Myrotvorets, un sito web collegato alla omonima associazione con sede a Kiev, gestito da agenti dello SBU, il Servizio di Sicurezza ucraino, che raccoglie questi dati e ne addita pubblicamente i titolari come «collaborazionisti» e «terroristi», mettendoci anche indirizzo e numero di telefono.
Lo SBU è stato oggetto di monitoraggio da parte dell’ONU, che ha riscontrato numerosi casi di violazione dei diritti umani, come sparizioni forzate, violenze sessuali, torture a danno di diversi malcapitati, i cui dati personali erano finiti proprio nel data base di Myrotvorets, liberamente consultabile tramite una maschera di ricerca. Molto peggio è andata al giornalista ucraino Oles Buzina e all’ex parlamentare Oleg Kalashnikov, entrambi uccisi per strada nel 2015 pochi giorni dopo essere finiti nel tritacarne di quel sito.
Questo amico, dopo aver deprecato l’invasione russa, ma stigmatizzato il boicottaggio degli artisti russi, si è visto recapitare un messaggio in cui lo si avvertiva della sua segnalazione al famigerato sito. Con la magra consolazione di esserci finito in buona compagnia, perché ci hanno messo anche la foto della figlia minorenne. Pessima idea, visto che questo amico è un ex ufficiale dei Carabinieri con conoscenze adeguate.
Gentile Nataliya, vorrei rammentarti che inviare dall’Italia dati personali al sito Myrotvorets, allo scopo di additarne pubblicamente i titolari alla stregua di nemici dell’Ucraina, non è propriamente un atto di solidarietà verso il tuo popolo, ma è un reato. E di certo non ti aiuta annunciare che presto verrà aperto un sito analogo in Italia, con la speranza che si diffonda in tutto il mondo, come un po’ troppo ottimisticamente stai auspicando.
Ma tu pensi davvero che le autorità italiane, come quelle francesi, greche, spagnole o australiane, ma anche Washington, potrebbero consentire, a casa propria, una porcata del genere, che rappresenta la più eclatante delle violazioni possibili e immaginabili in materia di trattamento di dati personali?