PER I BAMBINI DEL DONBASS

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

 

Non appena avrete mezz’ora di tempo, guardatevi su youtube il documentario dal titolo «Per i bambini del Donbass». Più che altro un’opera d’arte. Venne trasmesso su Raitre nel 2016. Cioè un secolo fa, quando la tv italiana non esitava a denunciare le nefandezze di quella democrazia che oggi noi tutti chiamiamo Ucraina.
Parla della popolazione russofona, che il narratore e regista Mauro Belardi considera la vera ricchezza di quella terra. «L’oro di Donetsk» è secondo lui il titolo che il grande Vittorio De Sica avrebbe scelto per un film.
Un ambiente che gli pare straordinariamente familiare, perché come diceva Montanelli «i Russi sono la versione tragica degli Italiani, e gli Italiani la versione comica dei Russi».
Nel rappresentare la tragedia di quella popolazione (la guerra era in corso da ormai due anni) Belardi parte dalla giovane Kristina, uccisa il 27 luglio 2014 insieme alla figlia Kira di dieci mesi da una granata ucraina, mentre le insegnava a camminare in un parco. Diventerà un’icona Kristina, e da tutti verrà ricordata come la madonna di Gorlovka.
Quando è stato girato il documentario, nel Donbass erano 268 le vittime dei bombardamenti di Kiev tra i bambini.
Nel documentario il nemico, anche se non si vede mai, ti tiene per le calcagna. Non c’è abitante del Donbass che non abbia perso un familiare o un parente per mano dell’esercito ucraino.
In genere si viene uccisi a tradimento nel Donbass, non in combattimento. Si muore saltando su una mina mentre si raccolgono funghi, o mentre si cammina per recarsi al lavoro, perché così i cecchini si allenano. Si muore anche durante i funerali, come è accaduto a una madre, colpita dalla distanza mentre piangeva sulla bara del proprio figlio, un ragazzino ucciso il giorno prima da un cecchino mentre andava a comprare il pane.
Il nemico è invisibile anche per i bambini. In una scuola elementare, ad una giornalista viene mostrato un anfratto sotterraneo, che una scolaretta di sette anni chiama «il nostro bunker», spiegando che «qui ci nascondiamo dalla morte». Nel Donbass la morte spia anche i bambini.
Il documentario si chiude su Vladimir, un anziano e testardo contadino che vive a due passi dal fronte, che da anni difende la propria casa dalle pallottole vaganti ucraine, allevando piccioni. Come fosse la rappresentazione della speranza per i più piccoli. Ogni volta gliela danneggiano la casa, e ogni volta lui la ripara.
Quando l’autore gli chiede perché non parte, Vladimir gli risponde con orgoglio che quella è casa sua, e che l’ha tirata su con le proprie mani. Conclude così il narratore: «E se il nemico dovesse sfondare il fronte, non potrà conquistare questa casa, dovrà girarci intorno».
Buona Visione.