DI ALFREDO FACCHINI
Gaza il cimitero delle promesse
Mentre Gaza sprofonda nell’abisso, le cancellerie internazionali sono in fibrillazione. Anche sotto la pressione crescente della società civile, disgustata dall’orrore che si sta compiendo nella Striscia.
Si fanno sempre più insistenti le voci secondo cui Francia e Gran Bretagna sarebbero pronte a riconoscere lo Stato di Palestina. La mossa potrebbe arrivare in occasione della conferenza ONU del 2-5 giugno a New York, presieduta da Parigi e Riad. Chi non intende seguire Londra e Parigi? Naturalmente uno dei governi più imparentati con lo Stato terrorista di Israele: il governo Meloni. Nessun riconoscimento unilaterale. Roma ripete la solita “supercazzola”: “due popoli, due Stati”. La Casa Bianca? Non cambia linea: no allo Stato palestinese. Giorgia resta con Trump.
Ad oggi sono 12 i Paesi membri dell’Unione Europea che hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina: Svezia, Cipro, Malta, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Spagna, Irlanda, Slovenia. Nel mondo, la Palestina è riconosciuta da 147 Paesi su 193 membri ONU (76%).
In queste ore fa discutere anche la presa di posizione ufficiale della Cina. Eccola:
– Esigiamo l’immediato cessate il fuoco.
– Esigiamo l’apertura di corridoi umanitari sotto controllo internazionale.
– Esigiamo il ritiro delle truppe israeliane da Gaza.
– Esigiamo il riconoscimento pieno e immediato dello Stato di Palestina, con i confini del 1967 e Gerusalemme Est capitale.
La pace della Palestina è un’urgenza morale, storica e politica. Non ci fermeremo finché non sarà realtà.
Ricordiamo che Pechino, nel luglio 2024, ha ospitato un incontro storico tra 14 fazioni palestinesi, tra cui Hamas e Fatah, culminato nella firma della “Dichiarazione di Pechino”. Un accordo che mira a porre fine alle divisioni interne e a stabilire un governo di riconciliazione nazionale provvisorio per la gestione della Striscia nel periodo postbellico.
Intanto resta sul tavolo il Piano arabo per Gaza, articolato in tre punti:
– 1. Cessate il fuoco immediato tra Israele e Hamas.
– 2. Governo tecnico palestinese a Gaza, senza milizie armate.
– 3. Gestione condivisa della Striscia da parte di un’autorità palestinese riformata, con il supporto di Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati e Qatar.
Obiettivo: neutralizzare Hamas, evitare il ritorno di Israele e aprire alla ricostruzione sotto garanzie arabe e internazionali.
Quanto alla ricostruzione: ecco il Piano arabo per Gaza. 50 miliardi in 10 anni. Tre fasi: emergenza (3-5 mld), ricostruzione (15-20 mld), sviluppo (25 mld).
Finanziatori: Arabia Saudita, Emirati, Qatar, con possibile supporto da UE, USA e Giappone.
Gestione: Banca Mondiale, FMI, comitato arabo.
Condizione chiave: fuori Hamas.
A Gaza: governo tecnico legato all’ANP riformata.
Obiettivo finale: stabilità, ricostruzione e rilancio della soluzione a due Stati.
Ma al momento è tutto fantapolitica
È tutto in salita. L’Europa balbetta: niente sanzioni, niente embargo. Italia e Germania – complici di Tel Aviv – tacciono e acconsentono. Trump punzecchia Netanyahu, ma non cambia linea. Gli arabi traditori spingono, ma senza copertura politica resta solo un assegno in bianco.
E intanto, la povera Gaza muore sotto le macerie, tra promesse vuote e piani che restano sulla carta.
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Alfredo Facchini