LAVORO STABILE, MA SEMPRE PIU’ POVERO

DI LEONARDO CECCHI

LEONARDO CECCHI

 

C’è una cosa che in pochi stanno sottolineando, dando così spazio a lor signori (e signore!)) di cavalcare l’ultima bella notizia dell’Istat: che gli ultimi dati ci parlano di un “boom” dei contratti stabili e anche degli “occupati”.
Com’è infatti possibile che da un lato – stando a quello che ci dicono queste persone – ci sia un così bel periodo di crescita economica, di stabilità, di benessere, mentre dall’altro lo stesso Istat qualche settimana fa ci diceva che la povertà assoluta è salita a 5,7 milioni di persone?
La risposta è semplice: che contratto “stabile” non vuol dire nulla. Uno può avere un contratto pagato una miseria, ma stabile. Non essendoci un salario minimo, quando sei fuori dal CCNL, ti becchi quanto ti vogliono dare e amen.
Peggio ancora, il termine “occupato”, per l’Istat vuol dire una persona che ha svolto un’ora di lavoro. Un’ora.
Aumenta quindi il lavoro povero. Stabile, vero; ma povero.
E no, non è punto preso perché questi son di destra: ripeto, lo stesso Istat ci dice che la povertà aumenta a passo di carica. Quindi anche solo tramite la logica, la risposta è che quello che cresce è per lo più lavoro mal pagato, stabilizzato grazie a grossi incentivi dati alle aziende, a cui ora conviene stabilizzare. Ma il problema rimane.
Lo si risolve con il salario minimo.
Altre strade non ce ne sono.