DI ALFREDO FACCHINI
È terminata all’Alta Corte di Londra la seconda e conclusiva udienza sull’appello finale della difesa di Julian Assange, contro la procedura di estradizione dalla Gran Bretagna negli Usa.
I giudici hanno preso tempo. Il verdetto è questione di giorni. Se il ricorso non fosse accolto risulterebbero esaurite le possibilità di azione legale presso la giustizia britannica. Anche oggi il fondatore di WikiLeaks non era presente in aula per ragioni di salute.
Ad oggi Julian Assange ha trascorso 1771 giorni in un supercarcere del Regno Unito per aver pubblicato informazioni che rivelavano crimini di guerra e violazioni dei diritti umani. Crimini di Stato.
Se non le avesse scovate e pubblicate non ne saremmo mai venuti a conoscenza.
Assange ha trascorso oltre 13 anni detenuto, in una forma o nell’altra. Prima in un’ambasciata (Ecuador) e poi murato vivo nella Guantanamo londinese.
Si chiama persecuzione.
Se estradato negli Stati Uniti, rischia una condanna a 175 anni in condizioni che secondo Alice Jill Edwards, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, equivarrebbero a tortura. Ma c’è chi non esclude la pena di morte.
La moglie di Julian, Stella: <<La sua vita è a rischio ogni singolo giorno che trascorre in prigione. Se verrà estradato, morirà>>.
Durante il primo giorno dell’udienza di martedì, alla corte sono state riferite “prove convincenti” di un complotto della CIA (sotto presidenza Trump) per rapire o assassinare Assange. Il che significa che se venisse consentita l’estradizione, si consegnerebbe Assange al paese che ha complottato per rapirlo e assassinarlo.
I principali media, organizzazioni per la libertà di parola e per i diritti umani hanno sollecitato il rilascio immediato dell’editore di WikiLeaks, tra cui Amnesty, Reporters Without Borders, ACLU, PEN, HRW, The International Federation of Journalists, NUJ, The New York Times, The Guardian, El Pais, Le Monde, Der Spiegel.
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La Repubblica e il Corriere della sera?
