DA REDAZIONE
Dalla redazione di REMOCONTRO –
Gli Stati Uniti hanno risposto a modo loro all’attacco contro la base militare in Giordania. Colpiti più di 85 obiettivi in Iraq e Siria, legati sia alle forze militari iraniane che a milizie affiliate al paese. L’inizio della risposta militare o l’atto dimostrativo e assieme la fine di un’altra azione e zona di guerra?
85 raid aerei di potenza
Attacchi aerei contemporanei come esibizione di forza e di potenza contro almeno sette diverse località in Iraq e in Siria. La prima parte -il timore e la minaccia- della risposta statunitense all’attacco subìto domenica scorsa contro la base militare in Giordania ‘Tower 22’, nel quale erano stati uccisi tre soldati e circa 50 erano stati feriti. Il presidente Joe Biden aveva attribuito la responsabilità a milizie attive nella regione e finanziate dall’Iran, e l’operazione era stata poi rivendicata da Resistenza islamica, una milizia sciita con base in Iraq e quindi riferita all’Iran, che saggiamente tace.
“Risposta” per arrivare a cosa?
Gli Stati Uniti hanno colpito almeno 85 obiettivi, tra cui depositi di armi e munizioni, basi operative e centri dell’intelligence legati sia a milizie vicine all’Iran sia alle ‘Guardie rivoluzionarie’, la forza militare più importante e diretta dell’Iran Stato. Non sono però stati compiuti attacchi in territorio iraniano.
Esibizione di “superpotenza”
L’operazione è iniziata quando in Iraq e in Siria era all’incirca mezzanotte, è durata 30 minuti e sono stati usati circa 125 tra missili, bombe e probabilmente droni. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, una ong con sede nel Regno Unito, almeno 18 persone sono state uccise negli attacchi. Il New York Times ha pubblicizzato l’operazione con due video pubblicati su Instagram in cui si vedono scene dell’attacco nella zona di al-Qaim, in Iraq, dove hanno sede un deposito di armi e varie basi operative delle milizie filoiraniane.
Contro l’Iran, ma non troppo
John Kirby, il portavoce per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha detto che i siti «sono stati scelti con cura per evitare vittime civili», e ha dichiarato che il governo iracheno era stato avvisato in anticipo degli attacchi. Kirby ha dichiarato che gli Stati Uniti non intendono iniziare una guerra con l’Iran, ma stanno colpendo in modo mirato gli ufficiali delle Guardie rivoluzionarie che -suo insindacabile giudizio- ‘hanno collaborato con le milizie’. Negli ultimi giorni anche il segretario della Difesa, Lloyd Austin, aveva chiarito di voler evitare un ulteriore allargamento del conflitto nella regione:
«Ci sono modi per gestire questa cosa senza che vada fuori controllo, e questo è stato il nostro obiettivo nell’elaborare una risposta», aveva detto.
Ma forse era solo un assaggio
Per valutazione diffusa gli attacchi statunitensi in Medio Oriente continueranno nei prossimi giorni, come confermato da vari ufficiali e accennato anche dal presidente Biden: «La nostra risposta è iniziata oggi, e continuerà nel momento e nel luogo che sceglieremo». Quasi una sentenza biblica.
A tutto torna ad Israele
La vicenda si inserisce nella guerra nella Striscia di Gaza, che sta creando tensioni in tutto il Medio Oriente: tra le altre cose, negli ultimi mesi vari gruppi armati sostenuti dall’Iran avrebbero fatto almeno 166 attacchi con missili e droni contro le basi militari statunitensi in Siria e Iraq, ma senza danni significativi, la contabilità ufficiale statunitense.
“Domenica le milizie filoiraniane avevano compiuto l’ultimo attacco contro una base militare statunitense in Giordania, questa volta colpendo mortalmente, da cui è nato l’ennesimo impegno militare risposta militare statunitense oltre il gigantesco sostegno di armamenti a Israele e la ‘quasi guerra’ allo Yemen degli Houthi per la navigazione nel Mar Rosso”.
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Articolo della redazione di
3 Febbraio 2024