UCRAINA, EUROPA

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

Quando da ragazzo iniziai a spingermi oltre i confini italiani l’Europa era soltanto un’espressione geografica. Bastava arrivare a Cannes per sentirsi dei sottosviluppati e se si proseguiva verso la Spagna si sbatteva il muso contro il fascismo franchista. Anche peggio era puntare a Nord, al confine svizzero assumevamo le sembianze di bestie da laboratorio e verso l’Austria ciò avveniva persino molto prima di raggiungere la frontiera. Più in là realtà aliene che neppure riuscivamo ad immaginare: Carnaby Street, Christiania, Sankt Pauli Strasse, Pigalle, i fiordi e via dicendo. Era facile sognare un’Europa che potesse offrire a tutti le sue differenze culturali in una specie di shopping center dove per accedere bastava una mente aperta e il rispetto delle regole dettate dalla democrazia e dalla libertà.
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Non è andata così. Quell’idea di Europa esisteva solo nelle nostre menti giovani e ingenue, ci hanno invece apparecchiato un sistema puramente economico e finanziario dove i nazionalismi più profondi potessero scontrarsi secondo le regole dettate dai più forti. Di multiculturalismo e integrazione neppure l’ombra, meno che mai con i paesi dell’ex blocco sovietico a cui abbiamo spalancato le braccia non in quanto nazioni o popoli o culture ma puramente mercati.
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Deludente? Certo, ma neppure la mia mente indurita dai decenni di questa fallimentare trasformazione avrebbe potuto immaginare che sarebbe arrivato il giorno in cui persino questo accrocco economico e finanziario mi sarebbe apparso più desiderabile di ciò che sta accadendo: l’Europa ridotta alla funzione di strumento bellico nelle mani degli Stati Uniti, concettualmente non diversa da un missile o un drone da lanciare contro il Cremlino, o Pechino, o la Palestina o chiunque altro non faccia comodo allo zio Sam.
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Ridatemi i passaporti, i confini, le dogane, le dracme e le pesetas… Io di questa porcheria non so proprio che farmene.