ISRAELE A TUTTA GUERRA, ANCHE IN CASA, MA CON LE CASSE QUASI VUOTE

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

La guerra non è solo vite sprecate ma anche un enorme giro di soldi. Tanti, quasi più delle bombe che volano, in questo caso su Gaza. E Israele in guerra semina assieme bombe e soldi: soldi e armi tue, soldi e armi americane, tra tutti e due tante armi a tanti soldi. Ma ad insistere troppo, anche il tanto prima o poi dà problemi prima di finire. E per Israele si prospetta già ora una gravissima crisi politico-economica sul tagliere cosa e a chi, oltre alla forse irrisolvibile crisi morale sugli obiettivi finali della guerra in corso.

I costi del conflitto, dalle vite umane ai soldi

Un ‘bollettino di guerra contabile’ dalla Banca centrale israeliana. Solo per il 2023  e solo a conti fatti fin’ora, ci vorrà uno ‘scostamento di bilancio’ di 31 miliardi di shekel (grosso modo, quasi 8 miliardi di dollari): 22 miliardi per spese militari dirette (le bombe americane o sono regali o sono a saldo futuro), e 9 per il settore civile coinvolto con quei 360mila richiamati tolti dalla produzione e mandanti al fronte. Avvertendo che bisognerà tagliare almeno 4 miliardi da capitoli ‘non urgenti’, se si vorrà rispettare un minimo di cautela finanziaria. E questo è il colpo politicamente più duro.

Tagli spesa su cosa e contro chi?

Come scrive Haaretz, i soldi da sforbiciare sono quelli programmati per i gruppi ‘duri e puri’ degli ultra-ortodossi. Quelli che in guerra non ci vanno per studiare la Torah, e i coloni che stanno mettendo la Cisgiordania a ferro e fuoco, facendo perdere persino la pazienza a Biden. Quindi, seconda battaglia logorante, per Netanyahu -fin che non lo cacceranno-, dai calcinacci di Gaza alle aule della Knesset, dove l’opposizione laica e meno forcaiola rumoreggia contro i programmi oltranzisti della destra religiosa, sostenuti da Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, oltre a essere il sottosegretario per gli Affari dei territori occupati.

Chi ingrassa nella guerra

Haaretz informa che, nel mirino della critica politica, ci sono i miliardi di shekel stanziati per i seguaci dei partiti più estremisti. E titola: «Il Ministro di estrema destra non sembra preoccuparsi dei costi della guerra a Gaza». E qui parte l’accusa più pesante, del quotidiano liberal di Tel Aviv, rivolta a Smotrich e più in generale alla politica finanziaria del governo Netanyahu: «A maggio sono stati approvati 14,3 miliardi di shakel sotto la voce ‘stanziamenti della coalizione’. I miliardi erano destinati principalmente agli haredim (ebrei ultra-ortodossi n.d.r.), ma anche ai coloni e alle cause di estrema destra. Gli importi non hanno precedenti, perché il governo ha riorientato le sue priorità verso gli ultra-ortodossi e i coloni a scapito del resto del Paese».

Faziosità politica di bilancio

L’analisi dei giornalisti israeliani, sulla faziosa politica di bilancio dell’esecutivo, prosegue dicendo che per perseguire le sue finalità Netanyahu e Smotrich «hanno drenato risorse dal settore tecnologico, attraverso l’imposizione fiscale, impiegandole a vanvera». Naturalmente la guerra ha fatto deragliare tutte le previsioni macroeconomiche, complicando adesso la formulazione del bilancio per il prossimo anno. Quest’anno il Pil aumenterà solo del 2% (era previsto il 3,4%), mentre il deficit arriverà al 4% del Pil. Fin qui niente di catastrofico, dicono gli esperti.

La mazzata 2024

Ma la vera mazzata è prevista per il prossimo anno, quando, secondo le stime del Ministero delle Finanze, la spesa pubblica aumenterà del 17%, fino a raggiungere la cifra record di 600 miliardi di shekel. Con un deficit che dovrebbe toccare il 5% del Pil. Sperando, avvertono alla Banca centrale di Tel Aviv, che questo macello finisca presto. Perché più dura la guerra e più si svuotano i salvadanai. Basti solo pensare, dicono gli economisti, al peso di 360 mila riservisti, richiamati dalle loro occupazioni. In questo momento l’apparato produttivo israeliano soffre e la divisione del lavoro, soprattutto dal punto di vista qualitativo, ne risente.

I colpi delle società di Rating

La difficile situazione del ‘sistema-Israele’, e non poteva essere altrimenti, è entrata nel mirino delle società di rating. Standard and Poor’s, recentemente, ha rivisto la previsione, l’Outlook, a ‘negativo’, pur mantenendo una classifica abbastanza alta. La ragione, che sicuramente porterà al rialzo dei tassi di interesse israeliani, è stata attribuita al ‘rischio geopolitico’. La definizione più tangibile del fatto che, spesso, le guerre si possono vincere sul campo di battaglia, ma poi si perdono agli sportelli delle banche. Israele è in guerra, ma questa guerra, furiosa e senza esclusione di colpi, divampa anche nella sua società e nelle aule del suo Parlamento.

L’estremismo ebraico in casa israeliana

«I coloni estremisti sono impegnati in una campagna per scacciare i palestinesi dalle loro case -denuncia Haaretz- e consolidare il controllo israeliano sulla Cisgiordania. Il Ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, sta distribuendo armi ai civili con scarsa supervisione. Ma l’estrema destra e gli Haredim sono altrettanto impegnati al Ministero delle Finanze».

“E così, torniamo a quello che dicevamo all’inizio. La crisi di Gaza, prima o dopo, finirà. Ma già si cercano le risorse per preparare nuovi confronti, in un ciclo infinito. Dove, scomparsa la ragione della tolleranza, resta solo quella dell’odio”.

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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

24 Novembre 2023