IL RICHIAMO DELLA GIUNGLA

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

L’essere umano, in quanto animale sociale, ha la naturale tendenza a cooperare tra membri dello stesso gruppo.

Guardiamo con ammirazione i lupi che condividono le prede con i componenti dello stesso branco che non sono in grado di cacciare, ci commuovono le elefantesse che si schierano facendo tutte insieme da scudo a uno qualsiasi dei loro piccoli, ci rallegriamo quando i bufali africani contrattaccano e scacciano i leoni che vorrebbero mangiarsi un loro compagno più debole.
E’ un istinto insopprimibile, per nulla diverso da quello che in una società complessa come la nostra spinge chi detiene una qualsiasi forma di potere ad aiutare chi può essere riconosciuto come membro dello stesso gruppo, spesso o sempre a scapito di altri.
Per riconoscerci l’un l’altro con facilità come parte della stessa mandria abbiamo inventato le uniformi militari, i partiti politici e i club sportivi, addirittura siamo capaci di fare gruppo con chi è simile a noi per come si veste, per come si pettina o anche solo per l’accento con cui parla o per i luoghi che frequenta.
Non è una cosa né buona né cattiva, è così e basta. Per questo davanti a una fila troppo lunga o a una multa da pagare o a un documento da ottenere la prima cosa che ci viene in mente è “Chi conosco che potrebbe essermi utile?” e tanto più la questione è legata a esigenze vitali come la salute o il reddito e tanto meno ci curiamo di chi quel vantaggio non riesce ad ottenere.
Però davanti allo Stato, a ciò che possiamo ottenere dalla cosa pubblica, dovremmo essere tutti uguali ed era per questo che avevamo inventato delle regole stringenti che potessero per quanto possibile mettere tutte le mandrie in condizioni di parità.
Sono quelle regole che la liberalizzazione degli appalti pubblici ha cancellato, da ora in avanti l’unica regola sarà quella di ottenere vantaggi a scapito di tutti gli altri e se per farlo occorrerà sganciare qualche mazzetta non sarà poi la fine del mondo, o no?