DI FAUSTO ANDERLINI
Nata come un simpatico esperimento “valoriale” e post-ideologico, user’s friendly, l’ideologia romana in salsa veltronica e lingottesca è poi evoluta in qualcosa di mostruoso e perverso.
Per una critica dell’ideologia romana
Se Marx, col suo socialismo scientifico, si è trovato a criticare l’ideologia tedesca, a noi tocca in sorte di fare la critica dell’ideologia veltronesca: una forma peculiare di falsa coscienza costituita da una mescolanza di americanismo e pariolesca romanità. Senza peraltro la fede nella scienza che Marx condivideva col positivismo. Ardua missione.
Nata come un simpatico esperimento ‘valoriale’ e post-ideologico, user’s friendly, l’ideologia romana in salsa veltronica e lingottesca è poi evoluta in qualcosa di mostruoso e perverso.
È vero come dice D’Alema che il Pd manca totalmente di ‘profondità’ storica, cioè identitaria: una metanarrazione che interpenetrando passato e futuro fornisce senso all’appartenenza.
Ma la reiezione delle radici social-comuniste e cristiano sociali, o, nella migliore delle ipotesi, il loro dissolvimento in un eclettico melting pot assieme ad altre cianfrusaglie, è stata una operazione altamente ideologica. Con lo scopo di fare del pensiero liberale, o liberal-democratico, il vettore sul quale caricare ogni genere di orpello improntato alla buona creanza del culturalismo individualista.
Il Pd è tutt’altro che un partito a-ideologico, ed è qui che D’Alema fa un’analisi un poco approssimativa.
Nato come una eclettica ricongiunzione e fusione dei riformismi storico-sociali il Pd è tosto evoluto, sin dall’atto di nascita, all’insegna di una radicale operazione di revisione/sostituzione ideologica.
In alcuni momenti violenta al punto da rasentare l’iconoclasi. Impresa, finanza, diritti civili, concorrenza, libero mercato, deregolazione del mercato del lavoro, privatizzazioni, antistatalismo, un welfare depotenziato e sburocratizzato, meritocrazia, modernizzazione come cifra del riformismo, multiculturalismo elitario, cosmopolitismo, sono diventati i pilastri di una ideologia avente come meta un capitalismo illuminato dalla razionalità, senza classi, intimamente democratico in quanto sottoposto alla sua stessa legge come fonte del diritto, emancipato da vincoli, privilegi e legami corporativi.
L’occidente, l’Europa, come superamento di sé stesso, cioè delle ideologie del ‘900 Innanzitutto dello spettro del comunismo. Ed è per questo che l’abiura verso la tradizione social-comunista è stata ben più pervasiva di quella riservata al cristianesimo sociale, in fondo una innocua variante del liberalismo cattolico. E tanto più forte in quanto a impugnarla con lo zelo dei neo-convertiti sono stati proprio gli ex-comunisti. Cose che accadono.
Il Pd non solo è, come tale, un partito ideologico originato da una revisione radicale, ma lo è al punto da rasentare il fanatismo. Molti dei suoi militanti ed esegeti sono letteralmente intrisi di una revanche che è tipica dei movimenti settari. Basta frequentare Facebook e sentire quel che espongono.
Il Pd ha gestito queste elezioni all’insegna di un vero e proprio autismo identitario. Solo contro tutti. La stessa analisi della sconfitta è di carattere infantilmente proiettivo: colpa degli altri e di chi non capisce. Con un effetto che rende ancor più grottesco il capitombolo che si è inferto da sé medesimo. È all’opera un revival identitario destinato a sedimentare una “cultura eroica della sconfitta” che sarà di grave intralcio per chi intende impegnarsi in una rifondazione del partito.
Se Calenda è un pazzo ideologico egolatrico, perfetta reincarnazione del lato psicotico del renzismo democrat, anche Letta non gli è da meno, malgrado la predilezione per i toni soft. Tutto in lui, gli occhi in particolare, parla di inflessibile intransigentismo.
Il Pd è un partito più che ideologico. Un partito fanatico. Si potrebbe dire che questa esaltazione di sé nel segno della purezza democratica sia la falsa coscienza necessaria di un partito abilitatosi come gestore di sistema, abusando, come inevitabile, dei mercimoni correntizi e di sottopotere.
Tanto più prosaica la prassi ordinaria tanto più poetica e inflessibile la sovrastruttura ideologica. Si pensi alla identificazione degna degli ultras con la visione dell’occidente come baluardo di civiltà. Un aspetto che ha fatto premio anche sul più ragionevole pragmatismo. Sino a ricusare la stessa possibilità di allearsi con chi recitava il ruolo della colomba nel conflitto ucraino.
Suvvia, diciamocelo. Un accordicchio con un modo meno bellicista di stare nella Nato non era certo cosa così complessa, se solo non si fosse stati accecati da una inusitata presunzione ideologica, facendo dell’agenda Draghi, nella sua misteriosofica essenza, una sorta di Bibbia ideologico-carismatica.
La vera differenza con la destra ideologica è che questa inclina sempre, nelle alleanze, a un pragmatico tornaconto, mentre il Pd, impregnato di fanatismo atlantista, ha preferito spalancare le porte alla destra piuttosto che deflettere dalla propria fedeltà ai principi.
Mai nella storia dell’Italia repubblicana si è palesato un partito così perversamente ideologico, iconoclasta sino all’astrazione quanto lesivo di ogni ragionevole pragmatismo. La destra post-fascista, a confronto, non va più in là di una sana iconografia.
Di Fausto Anderlini, dalla redazione di:
27 Novembre 2022