LA MANIFESTAZIONE DI ROMA E L’ORDINE MONDIALE

DI TURI COMITO

Ho smesso, come sanno alcuni amici e compagni che mi seguono, di scrivere di guerra praticamente ad aprile scorso. Cioè dopo i fatti di Bucha e la fine delle trattative russo-ucraine che qualche giorno prima in Turchia sembravano avere aperto la strada ad un cessate il fuoco e ad altre trattative più o meno definitive (e io fino a quei giorni ero convinto che una via d’uscita, praticabile, diplomatica, ci fosse ed era anche a portata di mano).

Ho smesso di scriverne perché per me la situazione era oramai chiara e non ci sarebbe stata nessuna possibilità che questa assurdità si fermasse per via diplomatica. Si doveva solo aspettare che le armi decidessero quanto territorio ucraino sarebbe andato alla Russia.

Quando dico “situazione chiara” intendo una cosa semplice. E cioè che quello che io ho sempre considerato l’obiettivo primario della Russia fosse stato ampiamente raggiunto e che era solo questione di tempo perché si assestasse. E l’obiettivo primario non è la presa dei territori russofili in Ucraina, quello è secondario.

Quello primario era e resta il cambio di ordine mondiale. Che, nella logica russa e cinese, non può e non deve più essere quello a guida statunitense e, in senso lato, occidentale.

Solo in questa prospettiva, io credo, si può capire perché gli Usa abbiano rifiutato di sedersi ad un tavolo negoziale ed affrontare le proposte di nuovo ordine in Europa (le due bozze presentate a Usa e Nato a dicembre febbraio scorsi dalla Russia) e abbiano deciso di fare la guerra alla Russia per interposta persona (l’Ucraina) quando il loro problema più urgente, più serio, più importante è lo spaventoso potere che la Cina ha accumulato in questi venti anni di globalizzazione.

Si spiega questo accanimento nel portare avanti una guerra regionale sempre sull’orlo di diventare nucleare solo se ci si mette al posto del presidente Usa e del grumo di potere che sta alle sue spalle (e non parlo di Biden, parlo di qualunque presidente Usa) e si analizza la questione geopolitica nel mondo che dice una cosa sola: il ruolo di paese-guida del mondo che hanno avuto gli Usa dalla fine dell’Urss a qualche anno fa è finito.

Lo testimonia la fuga dall’Afghanistan, la sconfitta in Siria, il disastro libico, la perdita di controllo in vaste zone dell’Africa e in medio oriente, la frana politica che rischia di diventare valanga nel “giardino di casa”, cioè nell’America del Sud. E siccome questo ruolo è finito se ne deve trovare un altro.

E l’altro non può che essere quello di leader assoluto di un Occidente graniticamente compatto il cui ruolo è quello di essere polo di attrazione per tutti quei paesi, piccoli e grandi (possibilmente con grandi risorse naturali nella pancia), ancora indecisi da che parte stare.

Se dalla parte degli Usa o da quella della Russia e della Cina e del loro Brics. Se si usa questa lente per guardare i fatti ucraini si capisce benissimo perché sovranisti, patrioti (leggasi nazionalisti) et similia che fino a ieri erano amicissimi di Putin in tutta Europa (in Italia quelli che abbiamo al governo) hanno repentinamente cambiato fronte e sono diventati paladini della “indipendenza” e della “resistenza” ucraina a suon di bombe mandate al fronte e di finanziamenti al limite dell’incredibile per quel paese in guerra.

Perché il problema non è l’Ucraina. Il problema è, appunto, quello che sta dietro l’Ucraina. Cioè il nuovo ordine mondiale e quante e quali forze i nuovi protagonisti (Usa più Europa, Russia, Cina) avranno in questo ordine.

L’obiettivo di questo schierarsi più o meno compatto accanto agli Usa in questa guerra da parte dei governi occidentali non è certo quello del ripristino della fantomatica “legalità internazionale” (altrimenti si dovrebbe cominciare ad aiutare con le armi gli occupati palestinesi per “difendersi” dagli occupanti israeliani, per tacere della questione Tibet annesso alla Cina negli anni 50. Ma la lista di cose del genere è praticamente infinita).

L’obiettivo è fare capire alla Russia che l’Occidente a guida statunitense considera la Russia un nemico e che con questa ha un confine naturale, fisico e militare, e questo confine è dato dalla Ucraina, pertanto l’idea che la Russia debba avere dei vicini “neutrali” è irricevibile. E infatti la Russia non ha più, in Europa, paesi vicini “neutrali”.

Ora, in questo contesto – se lo si accetta come buono, beninteso, perché non sono il depositario della Verità assoluta e ciascuno può pensarla come vuole naturalmente – la manifestazione per la pace di ieri a Roma quando chiede il cessate il fuoco e la ripresa delle trattative di pace fa una cosa lodevole, lodevolissima. Ma, disgraziatamente, inutile dal punto di vista dei fatti. Perché questa manifestazione arriva troppo tardi.

Se si fosse fatta, se altre se ne fossero fatte, tra dicembre e aprile quando ancora le cose erano in qualche misura malleabili perché non incandescenti come adesso, forse qualche risultato si sarebbe registrato. Per esempio quello di spingere il governo Draghi a dare una mano a Macron e ai suoi sforzi (interessati, per carità, ma pur sempre reali) di chiudere la questione con una specie di pari e patta.

Ossia revisione degli accordi di Minsk per l’autonomia delle regioni russofile in Ucraina, tavolo europeo sulla sicurezza nel continente, garanzie alla Russia di non avere “vicini” nemici e poco altro. Invece la manifestazione arriva adesso. In concomitanza con l’arrivo dell’inverno (e ho detto tutto, come diceva il Principe).

Dopo i referendum di “riunificazione” o di “annessione” (dipende dai punti di vista) non solo delle due repubbliche indipendentiste (Donesk e Lugnask), ma di altre vaste regioni ucraine alla russia. Dopo la mobilitazione parziale della Russia. Dopo che il Brics (e le altre organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione per la cooperazione di Shangai, ecc.) hanno ripreso nuova linfa e stanno discutendo di come riorganizzare il sistema-mondo. Dopo la corsa forsennata – il cui punto di arrivo è ignoto – per una “indipendenza energetica” dell’Europa dalla Russia. Il che fa pensare che gli organizzatori della manifestazione continuino a pensare, legittimamente ma secondo me sbagliando, che la guerra in Ucraina sia una questione di confini, di minoranze, di territori, locale e localizzata e non invece il punto di partenza di una questione globale.

Insomma la manifestazione arriva quando ormai non c’è molto da fare se non aspettare che armi e diplomazia sotterranea trovino la strada per una soluzione in Ucraina e un qualche modus vivendi per il resto del globo. Vuol dire, quel che ho scritto, che considero inutile la manifestazione di Roma? Non proprio.

A parte il fatto che registra un sentire comune di disagio per i rischi di una guerra totale, essa ha l’indubbio pregio di mandare a dire al governo italiano che gli sforzi per trovare una soluzione pacifica alla questione debbono cominciare e non possono essere quelli di mandare solo armi all’Ucraina. Inoltre è augurabile che questo evento abbia echi anche oltralpe. Se ce ne fossero anche in Francia e Germania e se ce ne fossero in continuazione è verosimile pensare che alcuni governi comincino a pensare che l’Europa (nel senso di UE) e non la Turchia possano diventare il luogo di trattative russo-americane, cioè globali. E’ questo il punto: la manifestazione di ieri può diventare un fenomeno di massa in grado di cambiare le cose? Certo, se la manifestazione resta un caso isolato non c’è molto da scommettere su un cambio di passo nella gestione della crisi.

Neppure se negli Usa vinceranno nelle elezioni per il Congresso i repubblicani nelle cui fila militano guerrafondai di prim’ordine a testimonianza che democratici e repubblicani sono praticamente la stessa cosa e che gli Usa sono un sistema a partito unico.

Io spero che a Roma il successo della manifestazione serva da carburante per il coordinamento che l’ha organizzata e che questo possa organizzare altre manifestazioni ancora a Roma, nelle altre città italiane e – accordandosi con altri partiti/movimenti/corrdinamenti europei – anche fuori dall’Italia per evitare che tutto venga archiviato rapidamente. I governi che abbiamo in Europa, in questo momento, sono tutti deboli, malmessi, con idee confuse, indecisi a tutto (basti pensare al tema delle sanzioni) in balia del lord protettore Usa. Il quale, con un Biden che saluta fantasmi e con un sistema di potere capital-finanziario che non sa che pesci prendere, non pare essere il massimo della solidità.

Questo contesto, paradossalmente, è favorevole ad una spinta verso le trattative che provenga dai cittadini europei se adeguatamente mobilitati.

Anche se non è chiaro a tutti che la posta in gioco è l’ordine mondiale che verrà dopo il caos di quel che c’è, la voce che vuole non dico pace ma almeno quieto vivere senza paura di evaporare a causa di qualche missile nucleare o di crepare di freddo perch perché manca l’elettricità, potrebbe riuscire a farsi sentire e orientare certe decisioni governamentali. Dopotutto siamo ancora in regime di democrazia formale con qualche tratto sostanziale.

Uno di questi tratti è che si può ancora manifestare. Se ne potrebbe approfittare di più e meglio.