COMANDANTE

DI ALFREDO FACCHINI

Prima di diventare una leggenda,
Ernesto Guevara, ha fatto il
medico, lo scaricatore di banane, il fotografo ambulante, lo sguattero.

All’inizio era semplicemente Ernesto, poi a Cuba diventa il “Che”, (cioè) che era il suo intercalare.

Sartre dice di lui : “Non era solo un intellettuale, ma era l’essere umano più completo della nostra epoca”.

Dalla guerriglia alla presa dell’Avana, il COMANDANTE è l’anima della rivoluzione cubana.

Il “Che” ha una posizione di primissimo piano nel gruppo dirigente rivoluzionario: prima presidente del “Banco Nacional” (1959), poi ministro dell’Industria (1961).

Dopo un lungo viaggio in Africa, nel marzo 1965 fa ritorno all’Avana e si dimette da tutte le cariche istituzionali.

Scrive ai genitori: “Riprendo la strada, scudo al braccio. Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che vogliono liberarsi”.

Nel 1966 è in Bolivia per organizzare un’insurrezione popolare.

L’8 ottobre del 1967 viene ferito e catturato a La Higuera, da un reparto antiguerriglia e da agenti della “Cia”. Il giorno dopo viene mutilato e giustiziato.

Il suo corpo, dopo essere stato esposto per sfregio a Vallegrande, viene sepolto in un luogo segreto e ritrovato da una missione di antropologi forensi argentini e cubani nel 1997. Da allora i suoi resti si trovano nel mausoleo di Santa Clara di Cuba

Amburgo. Mattina del 1 aprile 1971. Una donna dagli occhi azzurri varca l’ufficio del console della Bolivia.
Fa anticamera. Il console, Roberto Quintanilla Pereira, fa il suo ingresso. Abito scuro di lana.

Ex numero uno dei servizi segreti boliviani, è lui a firmare l’ultimo oltraggio consumato sul corpo di Che Guevara: l’amputazione delle sue mani, dopo la fucilazione.

Il futuro console ha anche il gusto perverso di farsi fotografare accanto ai cadaveri delle sue vittime illustri.

Saluta quella donna che dice di essere australiana, e che pochi giorni prima gli aveva chiesto un’intervista. I due si trovano di fronte. Lei, lo guarda negli occhi e senza dire nulla estrae dalla borsetta una pistola e spara tre volte. Le pallottole centrano il bersaglio. Tre fori nel petto.

Nella fuga, lascia dietro di sé una parrucca, la sua Colt “Cobra 38 Special”, ed un foglio di carta dove si legge: “Vittoria o morte. ELN”.

Lei è Monika Ertl, nome di battaglia “Imilla”, la donna che giustiziò l’infame che tagliò le mani al “Che”.

Alfredo Facchini