3 SETTEMBRE 1982 – VIA CARINI, QUARANT’ANNI DI ZONE D’OMBRA, CHE ANCORA RESTANO TALI

DI ENZO PALIOTTI

 

“Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”.

Sono le parole che chiudono la sentenza del processo agli autori materiali della Strage di Via Carini dove furono assassinati il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Prefetto di Palermo, la sua giovane moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo.

Era il 3 settembre 1982, quarant’anni sono passati ma quelle “zone d’ombra” di cui parla la sentenza, sono rimaste tali. A quelle parole si aggiungono quelle dette da Giovanni Falcone, ricordando il Generale, in occasione dello scampato attentato all’Addaura, 21 Giugno 1989, in una intervista a Saverio Lodato : “Ci troviamo di fronte a mentì raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi.” aggiungendo: “Sto assistendo all’identico meccanismo che portò all’eliminazione del generale Dalla Chiesa”. Falcone si riferiva ad una frase che il Generale pronunciò in un’intervista rilasciata a Giorgio Bocca:  Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato”.

Quanto è cambiato da quel giorno? Cosa è cambiato? C’è stato il maxiprocesso, istruito dallo stesso Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino, che per la prima volta ha visto tante condanne supportate dai risultati delle indagini dei due Magistrati che sono riusciti a scoprire il velo che proteggeva “cosa nostra”. I due sono poi caduti a loro volta sotto i colpi di “cosa nostra” e nei delitti di Capaci e Via D’Amelio è ricomparsa quella “zona d’ombra” di cui parlava la sentenza di condanna dei killer del Generale Dalla Chiesa, “zona d’ombra” che persiste a tanti anni di distanza sia dal delitto di via Carini, sia per Capaci e Via D’Amelio, questi ultimi due intrisi di depistaggi e di indagini volutamente superficiali. Così come persiste nei palazzi del potere la presenza di personaggi discussi e/o indagati per coinvolgimenti in attività illegali legate al fenomeno mafioso, tra l’indifferenza generale.

Tornando a quei tristi giorni c’è da rilevare la reazione di Palermo alla notizia di quella strage che fu feroce. Ai funerali non c’era posto né fuori né dentro la chiesa, la gente si avventò protestando contro gli uomini che governavano in quel momento e le forze dell’ordine dovettero faticare non poco per evitare che la folla li raggiungesse. L’omelia del cardinale Pappalardo non fu da meno. Il Cardinale citò una frase di Tito Livio: “mentre a Roma si discute Sagunto è espugnata”, un vero e proprio atto d’accusa verso i poteri dello Stato.

A quarant’anni da quell’evento il ricordo del Generale Dalla Chiesa, della moglie Emanuele Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo vive ancora così come vive la gratitudine per quello che il Generale è stato per il paese, un vero e indimenticabile “servitore dello stato”. Ricordando e celebrando quest’uomo ci piace ricordare una frase che campeggiava, scritta da un anonimo, su di un cartello apposto in Via Carini poco dopo l’attentato: “Qui è morta la speranza dei Palermitani onesti”, a testimoniare la fiducia, e la speranza, che la gente nutriva verso il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

C’è da dire però che quei giorni, come tante altre cose, si sono allontanati dalle coscienze popolari, rientrando nella quotidianità che è parente della rassegnazione, quasi “normalità“, “assuefazione”, quelle situazioni cioè, contro le quali il Generale Dalla Chiesa ha combattuto fino all’estremo sacrificio.

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