LA SINISTRA E LE PROSSIME ELEZIONI

DI ALBERTO BENZONI


La sinistra, o almeno quella che ci è toccata in sorte (ma non ce ne sono altre), ha un problema con le prossime elezioni. Ma non è quello della data. Ma quello del loro esito. E, nel concreto, del fatto che, con questo sistema elettorale, che sembra scritto sotto dettatura, la coalizione di centro-destra ha la vittoria in tasca. Ulteriormente favorita perché è in campo in campo da diversi anni, rimanendo, da sempre, vicina al 50% nei sondaggi, mentre il “campo largo” (da Conte a Renzi, tanto per rendere l’idea) auspicato da Letta è, ancora, al “carissimo amico” e lì rimarrà.
Così stando le cose, le assicurazioni, vagamente ricattatorie, offerte dal duo Salvini/Berlusconi – “sì ad un governo che operi sino alla fine della legislatura ma solo se Draghi continua a fare il presidente del consiglio” –  vanno considerate per quello che sono: una trappola. Sia nei confronti del Pd che dello stesso Draghi. E magari per tutti e due congiuntamente.
Il Nostro sa benissimo ciò che lo aspetta. Un anno o poco più a mediare tra liti continue, con il Pd al suo fianco, per spirito di servizio o magari perché non è in grado di comportarsi diversamente; e il duo Salvini/Meloni ad attaccarlo, magari abbracciandolo, all’unico scopo di neutralizzarlo. Magari per staccare la spina, come fece Berlusconi con Monti nel 2012, al solo scopo di intercettare un malcontento destinato fatalmente a crescere.
Nel frattempo apparirà chiaro sin dall’inizio che, una volta scartata pregiudizialmente l’ipotesi di una presidenza Draghi, non esiste nessun “deus ex machina” calato dall’alto e dotato dei requisiti necessari alla bisogna. A dimostrarlo il fatto che (a prescindere dal caso Berlusconi) tutte le ipotetiche candidature comparse sui giornali sono regolarmente impallinate ancor prima di essere discusse.
Tutto lascia pensare, allora, che si arrivi, “responsabilmente”, ad un compromesso di basso profilo. Con la elezione di un presidente di mediazione e non di garanzia, esterno, politicamente e culturalmente, alla nostra area e, per di più, di scarsa dimensione internazionale.
Ci troveremo così, tra un anno, scoperti, anzi nudi su due fronti: da una parte un governo di centro-destra, con un’importante componente trumpiana; e, dall’altra, un presidente della repubblica di scarsa autorità.
Si può naturalmente sostenere che la sinistra meriti questo e altro; e che un bagno di opposizione la costringerà a cambiare registro. Ma, ammesso che la sua redenzione sia possibile, cosa succederà nel frattempo?
Dobbiamo allora uscire dalla trappola. E, per questo, abbiamo bisogno di complici. E magari anche di mascalzoni inveterati che hanno qui, e ora, i nostri stessi interessi. Stiamo parlando, lo si sarà già capito, di Renzi. Un rottamatore/ricattatore alla ricerca di rispettabilità. E che, quindi, vede, con terrore l’avvento di un governo di centro-destra che lo condannerebbe all’irrilevanza; così come un sistema elettorale che porrebbe ostacoli insuperabili alla formazione di un’autonoma area di centro.
L’accordo o, più esattamente, la proposta che il Pd e il M5S dovrebbero portato alla riunione congiunta essere trovato sul nome di Draghi come presidente e/o sull’adozione di una legge elettorale di stampo proporzionale, con gli opportuni sbarramenti e correttivi. Difficile che vengano accettate tutte e due. Impossibile superare l’idiosincrasia dei grillini sul nome di Draghi. E, allora, avanti con la riforma elettorale, come impegno da assolvere (magari assieme all’introduzione della sfiducia costruttiva) nell’anno che ci separa dalla fine della legislatura.
Stupisce, francamente, che il Pd (magari su suggerimento di Bettini) non l’abbia, da tempo, messa in calendario (magari perché più interessato a tenere sotto controllo la sua area di competenza che a vincere le elezioni). Ma, mai come come in questo caso vale il principio: “meglio tardi che mai”.