NON SOLO TRITOLO E LUPARA…

 

DI ANTONELLA PAVASILI

Mario ha quasi 60 anni, una famiglia, un figlio e le rovine di un’attività che è stata la sua vita.
Mario, a quasi 60, è un uomo finito.
Un morto che respira, accartocciato come un foglio di giornale già letto.
Mario è una vittima di mafia.

Nessuno lo sa, perché nessuno lo ha mai ammazzato.
Non in senso tecnico, almeno.
Lui non è mai finito in tv, nessun giornale ha mai parlato di lui, ma anche lui è una vittima di mafia.

Tutto cominciò una decina d’anni fa.
La malattia di un figlio, cure costose, tutti i risparmi impiegati per le cure, rate di finanziamenti e tasse arretrate, dolore, fatica.
Inutili.
Perché quel figlio muore lo stesso.
Ma c’è l’altro figlio, e bisogna andare avanti, cercare di pagare i debiti e ripartire.

Mario va in banca.
Niente da fare, lei è segnalato, non possiamo far nulla.
E Mario cerca di spiegare.
Racconta di quel figlio malato, delle cure, dei viaggi, dei risparmi tutti impiegati, dei debiti contratti.
Racconta e piange Mario.
Ma non serve.
La risposta non cambia.
Lei è segnalato, non possiamo far nulla.

Mario non si arrende, va in un’altra banca.
Ma anche lì la risposta è uguale.
E anche nell’altra, e nell’altra ancora.
Mario è disperato, non riesce a dormire la notte, i debiti si accumulano, non riesce a pagare i fornitori.
Ne parla con un conoscente che gli propone una “soluzione”.

È l’inizio della fine.
La soluzione gli concede un prestito.
Che costa tanto, tantissimo, ogni giorno di più.
Mario capisce di essere in trappola.
Cerca di resistere e decidere di vendere l’unico bene che gli è rimasto.
Ma ci sono dei problemi da risolvere.

E lui comincia il pellegrinaggio tra i vari uffici.
Ha fretta Mario.
Si siede davanti ai funzionari e spiega.
Si umilia, implora, piange,
Ma ci vuole tempo.
E lui tempo non ne ha più.

È in gioco la vita dell’unico altro figlio.
Non può consentirlo Mario, non può.
E un giorno si ritrova dal notaio.
Una firma e i sacrifici di una vita volano via.

Di ritorno a casa guarda il figlio dritto negli occhi.
Gli dice “Ti voglio bene figlio mio”.
Saranno le sue ultime parole.
Si schianta sul pavimento, poi l’ambulanza, l’ospedale e quel letto che ancora lo accoglie.
È in coma dicono i medici, lui non reagisce, non collabora.

Non è ancora morto Mario, non tecnicamente almeno.
Ma l’hanno ammazzato lo stesso.
Morto di mafia.
Non lo sa quasi nessuno, solo la moglie e pochi altri.
Lei, la moglie, lo ha sostenuto fino alla fine.
Insieme hanno scelto di non denunciare.

Non sono vigliacchi.
Sono solo due genitori già distrutti dalla morte di un figlio, non se la sono sentiti di esporre a rischi anche l’altro.
E Mario è morto.
Senza sangue, senza spari, senza tritolo.
Morto di mafia.

Chissà quanti Mario ci sono intorno a noi?
Che oggi, nel giorno del ricordo delle vittime di mafia, non hanno nemmeno l’onore di essere riconosciuti come tali.

Morti di mafia, trasparenti, inesistenti.
Persino oggi.

Per Mario e per tutti gli altri.