ROMA, C’ERA UNA VOLTA IL BASKET

DI FABIO MACCHERONI

Mentre leggo in giro che sta fallendo l’idea fallimentare di una squadra di basket nelle mani di Claudio Toti, penso che del mondo di 37 anni fa, l’anno del Cupolone (doppio scudetto Roma e Banco) , non è rimasto in vita nemmeno lo sponsor, il Banco di Roma. E che il tentativo di trasformare quell’organizzazione artigianale di bancari impomatati e rampanti funzionari semidopolavoristi (anche simpatici) in qualcosa di più serio, s’e’ insabbiata come lo stadio di Tor di Valle: da sola, nella pigrizia romana e di chi a Roma pensa di mettere facilmente le zampe. Così è fallito Il Messaggero dei Ferruzzi nonostante grandi investimenti e piccoli risultati (una coppa Korac), così l’entusiasmo di Rovati, così il rampantismo di Corbelli (che poi s’avventuro’ anche nel calcio prendendo il Napoli). Toti fra tutti era il meno competente e il meno entusiasta. Pochi lampi in un buio che annunciava quello che vediamo. Ma non è questo che mi porta a riflettere. È la disintegrazione di una storia romana: il Banco (estinto), i romani di quell’impresa scudetto-Coppa Campioni-Coppa Internazionale che non fu solo dell’immenso Larry Wright o di Valerio Bianchini, fu anche dei Gilardi, Polesello, Sbarra, Castellano anche loro inghiottiti in questi 37 anni di invasioni barbariche. Inghiottiti in mille stradine della loro vita. Non è mancata soltanto la semina, è stato tutto lasciato andare. Come per dimenticare che pure a Roma, dove ogni quartiere ha il suo campanile del basket , fra guerre povere , si era riusciti a costruire qualcosa di importante. Dimenticare è stato un delitto, ricordarlo fa rabbia.

DI FABIO MACCHERONI