VILTA’ AMBIENTALE, PANDEMIA ITALIANA


DI ALBERTO BENZONI



Novembre 1992, alla Camera si discute la ratifica del trattato di Maastricht. Guido Carli scriverà di lì a poco nelle sue memorie che le sue regole modificheranno radicalmente lo stato e la società: dallo stato imprenditore e programmatore allo stato minimo, fine dell’economia mista, fine del principio di gratuità nei servizi, salario variabile dipendente, meno tasse e meno spese e così via. Un radicale cambiamento di cui alcuni degli intervenuti al dibattito, a partire da Massimo D’Alema, sono pienamente consapevoli; pure questi temi vengono appena sfiorati. Anche perché la maggioranza dei deputati non manifesta il minimo interesscontinuie al dibattito. 40 presenti, tutti ad ascoltare le notizie che vengono da fuori – il tale è stato arrestato, quell’altro ha avuto un avviso di garanzia – e/o a uscire dall’aula per averne di nuove. Alla fine un assenso pressoché unanime, quanto distratto.

Anni e anni dopo, presentazione della Storia dell’Iri, nell’aula Magna dell’Istituto. Presenti, molti luminari, quasi tutti a deplorare la sua liquidazione frettolosa, e le scellerate privatizzazioni successive. Compreso Prodi, allora presidente. “Ma perché non ha reagito?”. A domanda risponde: “non era possibile”. E la cosa finisce lì.

2016. All’indomani della vittoria dei 5S, esplode in tutta Italia la questione Tav. Secondo quasi tutti, un progetto vitale per il Piemonte, l’Italia, l’Europa su cui convergono madamine e mondo del lavoro, leghisti , diessini e opinionisti vari. E naturalmente in termini, come dire, ideologici; tali da rendere, a loro dire, superfluo ogni dibattito sul merito della questione. Il tutto, condito da pellegrinaggi; fino a sfociare in un solenne voto parlamentare in cui il Movimento 5 Stelle è totalmente isolato e Salvini trionfa.

Da allora in poi un silenzio totale. E talmente totale da tenerci all’oscuro sullo stesso andamento del progetto.

2017. Il Parlamento vota a maggioranza schiacciante, il taglio dei parlamentari. Ridurre i costi della politica ed eliminare i privilegi. E con il consenso degli stessi interessati. Come avvenne nell’agosto del 1789. Allora, però, in un clima di entusiasmo generale e di grandi propositi per il futuro; mentre qui regnano la rassegnazione e l’imbarazzo. Ma allora perché?

Si discute accanitamente sul Mes anzi sui Mes. Un tema talmente dirimente da poter causare una crisi di governo. Ma nessuno si degna di chiarire, nemmeno a se stesso di che si tratta e quali siano le ragioni del contendere; come se si potesse essere pro o contro a prescindere.

Si propone e si vota per il reddito di cittadinanza, diventato, nel frattempo, tutt’altra cosa rispetto a quello varato o proposto in altri paesi del mondo. Dopo di che ci si scaglia contro l’idea stessa del reddito di cittadinanza come premio ai fannulloni.

Nessuno sarebbe in grado di contestare, in linea di principio che i titolari dei redditi più alti, in una situazione di grave crisi e di crescenti disuguaglianze, debbano dare un contributo particolare alla ripresa del nostro paese. Come mai, allora, quando si sente la parola “patrimoniale”, l’indignazione, anzi lo scandalo sono così forti da mettere immediatamente a tacere gli incauti che si azzardano a pronunciarla.

Ora, cos’hanno in comune questi appuntamenti, così come le scelte e/o gli orientamenti che li hanno caratterizzati?

A parere di chi scrive, almeno quattro cose: di essere segnati da una cultura di destra (a prescindere dai dettami dell’ordoliberismo e di Maastricht); di essere avvenuti in un clima bipartisan e, quasi sempre, sotto governi diretti o fortemente sostenuti dal Pd; di avere dietro di sé una forte spinta del clima politico o, se preferite della pubblica opinione; e, infine, di non essere stati accompagnati da un esame nel merito.

E qui si arriva fatalmente al Pd. E alle ragioni del suo nuovo atteggiamento. Radicale svolta ideologica all’origine? Certamente sì; ma con l’avvertenza che per una svolta ideologica seria ci vorrebbe un congresso; mentre non c’è traccia di congressi e nemmeno di confronti aperti sull’argomento.

E allora l’unica ipotesi ragionevole diventa quella della “viltà ambientale”. Leggi dell’adeguamento delle sue azioni e delle sue opinioni al “senso comune” prevalente nel momento; prima consapevole, come ai tempi di Mani pulite, poi via via sempre più automatico/pavloviano. Ciò porterà il partito a diventare una specie di spugna che fa entrare tutto e non emette nulla. E garantirà automaticamente la sua centralità nel sistema politico; ma al prezzo della sua incapacità di cambiarlo o di dire qualcosa di nuovo.

Il guaio è che la viltà ambientale è a un tempo contagiosa, potenzialmente degenerativa e fonte di assuefazione. Il che la rende, allo stato, incurabile; se non al prezzo di crisi violente che portino al mutamento radicale dell’ambiente.

Ad alleviarla potrebbe essere la ricomparsa nell’ambiente di voci e fatti di sinistra: ma quella che abbiamo è occupata a parlarsi addosso; al punto di essere del tutto incapace di parlare agli altri.