COME E’ STATO CONTRASTATO IL COVID 19 IN CINA. INTERVISTA ALLO STUDIOSO MARCO BAGOZZI

DI LUCA BAGATIN

In tutto il mondo i contagi da Covid 19 aumentano. Particolarmente preoccupanti i dati negli USA e in Europa.

A Cuba, da qualche giorno, si sta sperimentando un secondo vaccino, il “Soberana 2”, mentre il Venezuela ha sperimentato una molecola utile alla lotta al Covid 19.

Il mondo socialista sta, dunque, dando grandi prove di sé, nella lotta al Coronavirus più temuto.

Nell’altro grande Paese socialista, ovvero nella Repubblica Popolare Cinese, nella quale tutto è nato, i contagi sembrano da tempo essersi arrestati e la vita pubblica e sociale riprende – gradatamente – la sua normalità.

Ciò è stato confermato, recentemente, anche da Business Insider, autorevole sito web economico, che ha spiegato il percorso portato avanti dalla Cina per raggiungere questi risultati. Dal tracciamento efficace, gratuito e intelligente, alle chiusure e ai distanziamenti rigorosi, favoriti anche dall’uso intelligente della tecnologia e dall’efficienza dell’apparato pubblico.

Di questo ne parla anche il recentissimo saggio curato dallo studioso triestino Marco Bagozzi, “Contrasto al Covid: la risposta cinese”, edito da Anteo.

Il saggio da te curato è un istant book, potremmo dire, che approfondisce la gestione della pandemia in Cina e come la Cina abbia aiutato e stia aiutando la comunità internazionale ad uscirne. Ci sono molti che ritengono che la Cina abbia, in un primo tempo, nascosto i dati relativi all’epodemia da Covid 19 sul proprio suolo nazionale e che oggi i risultati che hanno ottenuto e stanno ottenendo siano falsati. Cosa rispondi in merito ?

Innanzitutto mi piacerebbe ringraziare tutti i collaboratori che in piena estate si sono sobbarcati un lavoro impegnativo per portare a termine il libro in tempi rapidissimi. Ovviamente nei ringraziamenti va aggiunto l’editore Stefano Bonilauri, che mi ha proposto il volume e ci ha fortemente creduto. Il libro ha anche avuto l’apprezzamento dell’Ambasciatore cinese in Italia Li Junhua, che ci ha scritto la prefazione e ospita l’intervento di una ricercatrice dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, Jiang Fengfei.

Per tornare alla tua domanda, spetterebbe all’accusa produrre prove e non soltanto “ipotesi”. Contro la Cina si sta muovendo la solita canea mediatica a reti unificate, che proprio in questi giorni, davanti all’evidente fallimento del sistema euro-atlantico di prevenzione e contenimento della pandemia, ha ripreso a gran forza lo “scarica barile” nei confronti della Repubblica Popolare, accusata di aver risolto in breve tempo, con grande efficacia il grosso del problema. Tutti i dati e soprattutto la cronologia, mettendo a confronto le curve epidemiche, tornano e sono pienamente coerenti con la versione di Pechino. Inoltre il fatto che da più parti siano emersi studi scientifici che fanno risalire le prime “polmoniti sospette” già ad ottobre in Paesi come Italia e Francia, dovrebbe – stante le logiche di cui sopra – accusare anche tali Paesi di “aver occultato lo scoppio della pandemia”.

Sul complottismo anticinese, alimentato direttamente o indirettamente dalla rete Qanon, legata a Steve Bannon (ad esempio fa parte della rete la virologa Lin Meng-Yan, che nell’ulitmo periodo presenta a reti unificate e senza contraddittorio i suoi studi, debolissimi dal punto di vista scientifico, sul virus prodotto in laboratorio), c’è nel libro un capitolo scritto da Clara Statello.

C’è chi sostiene che i lockdown in Cina abbiano funzionato in quanto sia un Paese “autoritario” e “dittatoriale”. Per contro, il Vicepresidente del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa e deputato russo, Yuri Afonin, nel marzo scorso, che ha affermato di visitare spesso la Repubblica Popolare Cinese, ha parlato di successo dei lockdown e dell’assistenza sociale, tutto favorito da un sistema di autogoverno di base. A partire dai condomini e dai quartieri. In merito cosa puoi dirci ?

Innanzitutto va detto che il lockdown di Wuhan e dello Hubei non era fine a se stesso, ma era parte di un piano pandemico che si è dimostrato efficace: isolare immediatamente il grande focolaio preparando in anticipo il passo successivo, attraverso le celebri “tre T”: tracciare, testare, trattare. Per capirci, in Italia è stato fatto il primo passo, cancellando tutto quanto bisognava fare successivamente. Bisognava dare l’impressione che il peggio fosse ormai passato, perché a settembre le elezioni regionali erano un appuntamento troppo importante, per governo e opposizione.

Personalmente su questo sposo in toto le dieci criticità mosse da un gruppo di dieci scienziati al governo – tra i quali il microbiologo Andrea Crisanti, ormai diventato oggetto di una campagna mediatica vergognosa – pubblicato dal “think thank 150”.

Il piano pandemico cinese ha dato ottimi risultati perché inserito in un sistema che dall’alto (il Partito e il Governo) è stato calato a livello gerarchico alle provincie e alle municipalità ed è stato fatto proprio anche dai cittadini: non bisogna dimenticare che il controllo sociale, che non è la delazione, è un punto focale dell’efficacia dell’intero sistema.

Come hanno reagito le comunità cinesi nel resto del mondo ?

Le comunità cinesi nel mondo fanno parte di questo sistema. Nel libro riportiamo una testimonianza di come si è comportata la comunità cinese della mia città, Trieste. Praticamente la quasi totalità della comunità cinese, oltre ad avvisare, inutilmente, amici e conoscenti italiani del pericolo che stavamo correndo, si è auto-isolata, chiudendo attività e sospendendo momenti di incontro sociale. I bambini sono stati anche ritirati momentaneamente dalle scuole, sia per tutelarli da un crescente razzismo “anticinese” che stava montando in quei giorni, sia perché i loro genitori erano rimasti scottati dalla crisi della SARS del 2004, che ha segnato un’intera generazione di cinesi e che spinse il Governo cinese a reinvestire massicciamente sulla sanità pubblica.

Le modalità di contrasto al Covid, in Cina, a tuo parere, sarebbero esportabili in Europa ?

Una delle obiezioni che si possono muovere a coloro che sostengono che la Cina stia mentendo sui numeri è di andare a dare un’occhiata a cosa è avvenuto in tutto l’Estremo Oriente, zona nella quale, nonostante sistemi politici diversissimi, non solo la Cina è riuscita a contenere la seconda ondata epidemica. Nelle due Coree, in Giappone, a Singapore, ad Hong Kong, a Taiwan, in Mongolia o per arrivare nel Sudest, in Vietnam, la situazione è totalmente sotto controllo.

Segno che lungimiranza, rispetto delle autorità, metodo scientifico, tracciamento massiccio attraverso i big data e soprattutto efficacia, efficienza e risposta rapida in un quadrante strategico di fondamentale importanza come la salute pubblica sono elementi che dalle nostre parti sono finiti nel dimenticatoio.

In Cina il principio del bene comune è tenuto in grande considerazione, non per coercizione: le azioni delle comunità cinesi all’estero lo confermano. Da quelle parti non esistono no-vax, no-mask o gente che contesta il Governo con argomentazioni pseudoscientifiche.

Qual è, secondo i tuoi studi, lo stato dell’arte dell’economia e della politica cinese ?

Nella risposta precedente parlavo del ruolo strategico della salute pubblica nel sistema cinese. Elemento che è ancora più presente se consideriamo che la Cina sarà una delle poche economie in crescita in questo 2020. Nel libro il capitolo riguardante la crescita economica è stato trattato nel capitolo scritto da Giulio Chinappi, in cui viene sottolineato come il successo della Cina sia un successo del suo sistema socialista. Il controllo sui grandi conglomerati economici, la proprietà pubblica dei settori strategici, il ruolo della pianificazione economica, la presenza del Partito Comunista in tutto il territorio cinese, la capacità di reindirizzare i consumi nella produzione interna.

Tu hai dato alle stampe, sempre per Anteo, oltre a questo saggio, anche “Il socialismo nelle steppe. Storia della Repubblica Popolare di Mongolia”. Mongolia che, peraltro, ha sempre avuto ottimi rapporti con la Cina, anche quando, dal 1992, smise di essere uno Stato socialista. Cosa puoi dirci, in sostanza, del socialismo mongolo e come questo ha influenzato la geopolitica dell’Asia ?

La Repubblica Popolare Mongola è stato il secondo stato socialista a consolidarsi dopo l’Unione Sovietica. Proprio grazie all’aiuto dei vicini sovietici la Mongolia ha avuto un enorme sviluppo economico e socioculturale, facendo uscire l’intera popolazione dal sottosviluppo e, sostanzialmente, dal “medioevo” in cui viveva fino al 1921. Un “lungo medioevo”, come lo chiamo nel libro, dominato da una casta di nobili e clero buddhista, che teneva il resto della popolazione nell’isolamento e nell’ignoranza.

Il Governo socialista ribaltò queste istituzioni e garantì la crescita economica, l’istruzione di massa, la crescita socioculturale, in particolare dal secondo dopoguerra quando la Mongolia poteva contare su un numero di paesi amici che garantivano conoscente tecniche e scientifiche, oltre che una mutualità nel commercio e negli scambi internazionali.

Gli anni ‘60 e ‘70, in particolare, non furono anni facili nel rapporto con i cinesi, anzi. La Mongolia seguì i sovietici durante gli anni dello scisma con Pechino e non mancarono di attaccare la dirigenza maoista con grande veemenza. I rapporti sono stati riallacciati solo nella seconda metà degli Anni ‘80, ma tutt’ora sono presenti. La Mongolia ha saputo mantenere, nonostante la svolta liberaldemocratica, molte delle direttive geopolitiche e sociali del periodo socialista e, non per caso, una delle due forze politiche che si dividono il potere, è l’erede diretto del Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo, che guidò il Paese durante il periodo della Repubblica Popolare. E nell’ala socialdemocratica non manca di rivendicare il passato con orgoglio.

Luca Bagatin

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