MYANMAR CONTESA DA INDIA E CINA

DI MICHELE MARSONET

L’espansionismo praticato in Asia dalla Repubblica Popolare Cinese ha molti obiettivi. Uno dei più importanti è Myanmar, l’antica Birmania (Burma in inglese), un Paese chiave grazie alla posizione strategica che occupa tra India, Sud-Est asiatico e la stessa Cina.
Era una delle perle dell’impero britannico. Gli inglesi, com’è noto, sceglievano con cura le nazioni da assoggettare in base a considerazioni economiche e geopolitiche, e la Birmania era preziosa da entrambi i punti di vista. Non solo per la già menzionata posizione geografica, ma anche grazie alle ingenti risorse naturali.
Dopo la dittatura militare che ha oppresso il Paese per decenni, nel 2015 la vittoria del partito di Aung San Suu Kyi (Premio Nobel per la pace) fece nascere molte speranze di apertura all’Occidente e di democratizzazione. Tuttavia da un lato l’esercito ha continuato a mantenere un grande peso, e dall’altro la Premio Nobel – prima assai popolare in Occidente – si è attirata molte critiche per una certa mancanza di trasparenza.
La Birmania è una nazione a schiacciante maggioranza buddhista, dove si pratica la dottrina theravada. Esistono però minoranze cristiane e islamiche che subiscono persecuzioni. Ciò vale in particolare per i Rohingya, popolazione musulmana che il governo centrale intende privare della cittadinanza favorendone l’emigrazione nel vicino Bangladesh.
In questo caso Aung San Suu Kyi non si è opposta alle politiche di discriminazione preferendo adottare una linea identitaria che vede per l’appunto il buddhismo come legame unificante del Paese. Di qui una certa delusione nei suoi confronti e un rallentamento degli investimenti occidentali che erano affluiti dopo la parziale sconfitta del regime militare.
Per capirci, tali investimenti hanno subito una contrazione di quattro miliardi di dollari negli ultimi anni. La crisi coinvolge anche il turismo, che pur dovrebbe essere il cuore dell’economia locale considerati i tesori artistici e architettonici che il Myanmar custodisce. Invece c’è stagnazione e i turisti continuano a preferire la vicina Thailandia, certo più sfruttata e commerciale ma relativamente più tranquilla.
Ciò che mette conto notare è il grande dinamismo della Repubblica Popolare Cinese, che con la Birmania condivide un confine che supera i 2000 kilometri. I cinesi, come sempre pragmatici e pure cinici, già intrattenevano fruttuosi rapporti con i generali birmani anche nei periodi peggiori della dittatura militare. In seguito furono spiazzati dagli investitori occidentale dopo la parziale liberalizzazione del 2015.
Ma quando l’Occidente ha iniziato a premere l’acceleratore sul tema dei diritti umani, suscitando l’ira del governo birmano, Pechino ha subito riconquistato le posizioni perdute poiché, come tutti sanno, ai cinesi i diritti umani non interessano considerandoli soltanto uno strumento della propaganda occidentale.
La Birmania è dunque tornata ad essere per la RPC un Paese chiave, anche in virtù della sua vicinanza alla “nemica” India. Di qui l’inclusione del Myanmar nel grande progetto della Nuova Via della Seta e, fatto ancora più importante, la volontà di sviluppare una rotta commerciale sino-birmana in alternativa a quella – più pericolosa – che passa per lo Stretto di Malacca. Si noti che il discorso vale soprattutto per le importazioni petrolifere.
Mentre Aung San Suu Kyi favorisce i rapporti con Pechino, i militari sono più prudenti poiché temono che gli investimenti cinesi possano condurre a un’eccessiva dipendenza dall’invadente vicino, come è del resto accaduto in altre nazioni asiatiche quali Pakistan, Laos, Sri Lanka e Maldive. Per questo non vedono con eccessivo favore l’intenzione della Repubblica Popolare di rafforzare la propria presenza nel porto di Kyaukpyu che si affaccia sull’Oceano Indiano.
Tale porto è infatti molto vicino a una delle principali basi della Marina indiana, ed è noto che New Dehli considera il Golfo del Bengala essenziale per i suoi interessi economici e militari. In un periodo di rinnovati scontri tra gli eserciti cinese e indiano sui confini dell’Himalaya, la Federazione Indiana teme molto la prospettiva di dover fronteggiare Pechino anche in questo settore.
Ancora una volta, dunque, si osserva la grande spregiudicatezza della politica estera cinese, che del resto è un proseguimento di quella della Cina imperiale e pre-comunista. Si tratta di fattori da considerare con serietà nel momento in cui sta aumentando la penetrazione economica e commerciale della RPC anche in Italia e in Europa.
Tra l’altro, l’8 novembre in Myanmar si terranno le elezioni generali e senza dubbio il tema dei rapporti con le due potenze vicine sarà al centro dell’attenzione. Grazie alla sua politica nazionalista Aung San Suu Kyi riuscirà probabilmente a prevalere. Tuttavia il potere dei militari resta molto forte, e in grado di contrastare i progetti di colei che domina da parecchi anni la scena politica birmana.