GRAZIE AL GIRO, UNA CORSA APERTA MENTRE GLI ALTRI CHIUDONO

DI MARINO BARTOLETTI

Applausi, solo applausi, non soltanto a chi ha vinto il Giro d’Italia, ma anche a chi l’ha terminato e soprattutto ha chi l’ha voluto, organizzato e condotto in porto dalla Sicilia a Milano. Per fortuna, in un’Italia che chiude (per paura e per disperazione) c’è chi ha ancora voglia di “pedalare”.
Bravo a Tao Geoghegan Hart, inattesa maglia rosa, leader di una squadra che sembrava avesse terminato la sua missione al secondo giorno e che invece si è saputa reinventare un Giro trionfale: punta di diamante di una generazione di giovani campioni che stanno cambiando pelle al ciclismo
Bravo a Filippo Ganna, orgoglio di un movimento ciclistico in affanno che per la prima volta nella storia del Giro non riesce a piazzare un proprio rappresentante nei primi cinque (e dunque bravo a Vincenzo Nibali primo degli indomabili nonni italiani, che non ha colpa se alle sue spalle non si è costruita una generazione vincente)
Bravi tutti i piccoli eroi che questo Giro dell’orgoglio ha affidato al cuore della nostra simpatia, da Pozzovivo (che un anno fa non sapeva neanche se avrebbe potuto non correre, ma camminare), a Ulissi, a Visconti, a Masnada, a Ballerini, a Vendrame, a Guarnieri e a tutti gli altri che vorrete aggiungere…. E anche al “sempreciclista” Matteo Tosatto che non più in bici, ma in ammiraglia, ha saputo costruire una strategia vincente: a testimonianza che “Italians do it better”: almeno nella scienza del ciclismo
Il Giro è stato più forte persino della gazzarra un po’ cialtrona e codarda del giorno dello “sciopero”. Sono dell’idea che, a traguardo tagliato con la soddisfazione di tutti, si possa prendere in considerazione l’ipotesi di un generoso perdono
Bravo a Mauro Vegni, a Paolo Bellino, a Stefano Allocchio, a Marco Volo, a Stefano Barigelli per le rispettive “quote” vincenti di questa bellissima impresa. L’esempio del “fare”, in un Paese preoccupato e (giustamente) spaventato è l’unico antivirus che ci può restituire la speranza