“ALICE È TORNATA DAL PAESE DELLE MERAVIGLIE” DI ANTONIO AGOSTA

DI CLAUDIA SABA

Quando ho iniziato a leggere “Alice è tornata dal paese delle meraviglie”, pensavo di trovarmi di fronte alla “favola”.
Leggera e veloce.
Con la solita morale conclusiva.
Invece mi sono trovata a vivere una storia.
Quella di Alice, una bambina in carne e ossa che fino all’età di due anni vive nel “paese delle meraviglie”.
L’Africa, le sue magie, i colori di tramonti e soli diversi.
Alice si sveglia improvvisamente la prima volta a due anni quando torna in Italia con suo padre.
Soltanto un anno dopo suo padre muore.
Si uccide sotto gli occhi esterrefatti della mamma.
Alice crescerà con i nonni conservando dentro di se’ l’immagine di un padre fragile e incompreso che non è riuscito ad affrontare la vita.
Il nuovo risveglio di Alice arriva dopo il ritrovamento di una lettera del padre nascosta tra le pagine di un vecchio libro.
È indirizzata a lei.
Sorpresa, la legge tutto d’un fiato.
Il contenuto, darà una svolta decisiva alla sua vita.

La storia è “raccontata” da uno spettatore passato per caso nella vita di Alice, ne rimane incantato e scrive.
È la “cronaca” di una storia delicata e profonda.
Che racconta l’amore, la paura, le ansie di una bambina mentre diventa adolescente e infine donna.
La descrizione di varie fasi emozionali narrate con distacco.
Come fa un cronista davanti all’omicidio più efferato.
Alice nasce, cresce, ama, vive.
Lo spettatore assiste e scrive.
Analizza senza dare giudizi.

Uno stile diverso che mi ha coinvolto fino alla fine.
Fino all’ultima parola quando appare il punto di chiusura.
Un punto che non segna la fine di una storia ma l’inizio di un nuovo domani.