SEI DI SINISTRA? DOMANDA DA UN MILIONE DI DOLLARI

DI VINCENZO G. PALIOTTI

Una volta ti chiedevano: “tu sei di sinistra?”, la risposta era facile, se lo eri rispondevi si, bello chiaro! Oggi è diventato un problema rispondere, a parte il fatto che tanti, prendendo esempio da Renzi, utilizzano i partiti come un taxi per arrivare, senza neppure poi pagare la corsa.

Oggi dove la trovi la sinistra? Nel PD di Zingaretti, pieno di ogni tipo di ideologia, tranne quella originaria del partito; di transfughi dell’effetto di mani pulite? Quel PD che caccia via letteralmente, gente come Marino con tanto di decreto notarile. Il PD che costringe, rottama, la direzione precedente, quella con ancora radici di sinistra ben piantate, a scappare via? Il PD dei famigerati 101 per i quali esiste il fondato sospetto che siano ancora lì “pronti per l’uso?”Il PD che, a pochi giorni dal referendum ancora non ha ben chiarito come la pensa? Quella di Renzi che ha stretto patti con Berlusconi e fatto riforme con la “consulenza” di Verdini? Quella di Calenda? Quella in ultimo di Bonaccini che auspica un ritorno nel PD di Renzi e Bersani? E ce ne sarebbero ancora da menzionare. E allora come diceva Totò: “non sai più dove ti devi buttare, porca miseria!”

La verità è che una sinistra vera non c’è più. La si trova, forse, solo nei piccoli movimenti dove ancora si parla di lavoro, di diritti dei lavoratori, di eguaglianza, di lotta di classe, tutti argomenti ormai in largo disuso, da queste parti. Pensate per esempio a cosa sarebbe successo un tempo se un presidente di Confindustria, in piena pandemia, avesse dichiarato: “il lavoro rende immuni”, come minimo un’interpellanza parlamentare se non una dimostrazione di piazza, oggi ci si ragiona su e qualcuno gli da anche ragione.

Per cui alla domanda c’è solo da rispondere: “non so, forse, dipende, vedremo”, ma in realtà ci si sente come quel soldato giapponese che, trovato nella giungla ancora al suo posto di guardia, dopo trent’anni dalla fine della guerra non voleva accettare l’idea che il “grande Giappone” avesse perso la guerra. O, ancora più semplicemente, sentirsi come orfanelli abbandonati al loro destino.