DI PIERO ORTECA
Da REMOCONTRO –
La “quasi guerra” riesplosa in Kashmir tra India e Pakistan è stata velocemente circoscritta. Non prima, però, di avere fatto temere un’escalation dalle conseguenze imprevedibili. Intendiamoci, la situazione è sempre tesa come la corda di un violino, soprattutto perché coinvolge due atavici nemici in possesso di armi nucleari.
Riflessioni sulla partita ancora aperta
Il contesto politico e soprattutto economico, dei due sistemi-paese, è tale da imporre una riflessione, in assenza di un vero e proprio accordo politico. In sostanza, gli equilibri sociali all’interno delle nazioni coinvolte sono talmente fragili, che basterebbe uno scossone (come quello di una guerra rovinosa), a innescare turbolenze difficilmente gestibili. E questo è vero sia per l’India che per il Pakistan: entrambi hanno una situazione economica abbastanza problematica. Una congiuntura tale, da rappresentare un vero e proprio ‘modello’ per rinunciare a qualsiasi guerra, non solo per motivi etici e morali, ma piuttosto per priorità legate alla politica interna.
“Meglio ancora, la crisi del Kashmir può essere un caso-scuola per ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle dispute internazionali.”
“Stratfor” e la redditività della pace
Un’analisi proposta proprio su questo argomento specifico, dal prestigioso think tank americano ‘Stratfor’, sottolinea l’assoluta ‘redditività’ della pace, in qualsiasi condizione. Offrendo un modello di comportamento diplomatico, applicabile in tutte le aree di crisi del pianeta, anche laddove sembri che un eventuale conflitto armato potrebbe arrecare dei vantaggi. «Tra il 7 e il 10 maggio – scrivono a Stratfor – India e Pakistan si sono impegnati in attacchi reciproci che hanno rischiato naturalmente di sfociare in un conflitto prolungato. Il 12 maggio, i rappresentanti di India e Pakistan si sono parlati telefonicamente per discutere le modalità per la de-escalation del conflitto, a seguito di un accordo di cessate il fuoco del 10 maggio». Cos’è accaduto? Al di là di tutte le considerazioni plausibili sul rischio nucleare, gli esperti giudicano fondamentale la valutazione che i governi dei due Paesi danno delle possibili ricadute di un conflitto sul loro sistema finanziario e, a cascata, sulla tenuta della struttura sociale. Naturalmente, entrambi concludono che la guerra è un “affare” in clamorosa perdita.
Guerra costosa impoverisce sempre
Più nel dettaglio, un pesante impegno militare graverebbe su dei bilanci già logorati. «Il Pakistan – dicono a Stratfor – troverebbe il conflitto significativamente più difficile da sostenere dal punto di vista economico e finanziario, data la dimensione economica dell’India, la sua flessibilità finanziaria e i suoi fondamentali economici più solidi». Ma anche il colosso asiatico, col suo miliardo e 400 milioni di abitanti, aggiungiamo noi, non si può permettere di sbagliare una mossa, specie in un momento in cui le economie «export-oriented» rischiano molto, e lo stesso premier, Narendra Modi, è messo sotto pressione dalle continue emergenze sociali, politiche e ambientali. «L’India è una delle economie emergenti in più rapida crescita al mondo – si legge nel report di Stratfor – con un Pil reale stimato in media del + 6-7% nel 2025-2026. Le proiezioni del Fondo monetario internazionale, invece, danno il Pakistan al +3-4%. Le prospettive economiche del Pakistan sono quindi molto più delicate, data la sua posizione finanziaria più fragile in termini di ampi deficit fiscali e ingenti esigenze di finanziamenti esterni».
Conflitto solo a perdere
Insomma, un conflitto taglierebbe le gambe alla crescita dell’India e aggraverebbe i problemi di indebitamento del Pakistan, spostando semplicemente le tensioni dall’esterno a un fronte interno. Si prevede – giudica Stratfor – che il Prodotto interno lordo dell’India raggiungerà i 17,6 trilioni di dollari nel 2025, rispetto agli 1,7 trilioni di dollari del Pakistan (il Pil degli Stati Uniti, ai tassi di cambio Ppa, dovrebbe raggiungere i 40 trilioni di dollari). Questo significa che l’India ha più margine per indebitarsi e per sostenere un conflitto, meglio del Pakistan, nel breve-medio periodo. Ma l’analisi costi-benefici, condotta dal governo di Nuova Delhi su un eventuale conflitto generalizzato contro le forze armate di Islamabad, deve tenere conto della «distorsione delle risorse a fini bellici». Un’operazione che, in questa fase del suo sviluppo, un Paese a nuova e accelerata industrializzazione come l’India non si può permettere. «D’altro canto – sottolinea ancora Stratfor – un conflitto prolungato senza guadagni visibili potrebbe alimentare proteste o persino innescare richieste di cambio di governo in Pakistan, che ha una lunga storia di lotte di potere tra civili e militari».
La guerra interna al debito
“In generale, poi, i due Paesi potrebbero avere problemi di solvibilità internazionale per i loro debiti, anche se portano una classificazione diversa di rischio. Mentre l’India gode di una tripla B (come l’Italia), il Pakistan è praticamente sulla soglia del ‘debito-spazzatura’, con una tripla C che non fa presagire niente di buono. Ma, in definitiva, fatti i conti e tirate le somme, nessuno dei due contendenti, nemmeno l’India (che sembra avere condizioni finanziarie di partenza più vantaggiose) si azzarda a soffiare sul fuoco dell’escalation.”
Perché ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: alla fine, le guerre finisce per perderle anche chi ha vinto.
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Articolo di Piero Orteca dalla redazione di
15 Maggio 2025