DI PIERO ORTECA
Da REMOCONTRO
La guerra tra Israele e Iran sta già prendendo la piega peggiore: quella per fare male a tutti. Nessuno escluso. Con il prezzo del petrolio che, nel malaugurato caso di un blocco dello Stretto di Hormuz, potrebbe arrivare anche a 150 dollari al barile. Uno dei missili lanciati dagli ayatollah, per rappresaglia, ha centrato una raffineria di petrolio, alle porte di Haifa. Tre vittime.
La raffineria di Hafa colpita
Un pessimo segnale
Un incendio ha devastato l’impianto, bloccando la produzione e facendo sorgere interrogativi sulla ripresa dell’attività. L’impressione è che le autorità israeliane siano rimaste in qualche modo sorprese per il colpo ricevuto, che è subito apparso mirato. Il missile non è stato sparato a casaccio, ma ha centrato esattamente il bersaglio voluto, cioè la raffineria, che è rimasta a lungo in fiamme. Dal canto suo, la Bazan Oil Refineries ha riferito che l’infrastruttura dell’oleodotto tra i suoi stabilimenti è stata danneggiata durante la notte, nell’attacco missilistico iraniano. Mentre il sindaco di Haifa, Yona Yahav, parlando alla Radio dell’IDF, ha espresso tutta la sua preoccupazione: «Qui ci sono vari tipi di fabbriche che interessano fortemente al nemico. Il governo deve mostrare coraggio e intervenire, per rimuovere queste strutture dalle zone residenziali. Questa è una richiesta di lunga data dei residenti e del Comune di Haifa, ma purtroppo nessuno ci ascolta».
La guerra d’azzardo
Nessuna guerra, dunque, è una passeggiata di salute. Nemmeno per il potente esercito di ‘Bibi Netanyahu’, premier che, in pieno delirio di onnipotenza, tende a sottovalutare (se non a disprezzare) tutto quello che gli si para davanti. Ma chi ha letto e, ancor di più, studiato le carte della guerra Iran-Irak, non farebbe mai l’errore marchiano di supporre che l’ex impero persiano sia una preda facile, da demolire con un paio di pedate. Quindi: colpire per primi infrastrutture non militari (gasdotti, impianti energetici) come hanno fatto gli israeliani, e confessare poi (Netanyahu) l’auspicio di un cambio di regime (provocato dallo Stato ebraico?), è semplicemente una dichiarazione di guerra all’ultimo sangue. Specie, per un Paese in cui il fondamentalismo sciita è più radicato di quanto si creda, e nel quale gli ‘intransigenti’ (Guardie rivoluzionarie) hanno in mano tutte le leve dello Stato. E controllano le forze armate, sia direttamente, che con la ‘duplicazione’ degli incarichi, assegnati prioritariamente alla loro milizia.
Piano Trump Netanyahu
Il piano Trump-Netanyahu, di sfruttare la crisi sul nucleare per avere l’opportunità di abbattere il regime, facendo sollevare la popolazione (sotto le bombe?) rischia di avere un effetto boomerang. Con i ‘duri e puri’ raccolti attorno a Khamenei, sempre più inselvatichiti e votati al martirio. Smettiamola di pensare sempre con la nostra logica occidentale e proviamo, per una volta, a fare un po’ di ‘Teoria dei giochi’. Molti di quelli che oggi comandano, a Teheran, a Qom, a Isfahan, sognano di morire con le armi in pugno. Così, paradossalmente, più sotterri di bombe gli iraniani e più metti in difficoltà i ‘moderati’ e il Partito del Bazar. E se Netanyahu si dovesse convincere (con l’avallo di Trump) a bombardare anche il terminale petrolifero dell’isola di Kharg (da dove viene esportato il 90 per cento del greggio persiano) allora siate certi che Khamenei reagirebbe. E la sua reazione più devastante sarebbe quella, elementare e terribile, di bloccare il collo di bottiglia dello Stretto di Hormuz. Basterebbero poche centinaia di obsolete mine magnetiche, mandate alla deriva, e da lì non passerebbe più manco una zattera, altro che superpetroliere!
Harmuz e il petrolio
Un’offesa bruciante. Soprattutto per le nostre tasche. Avremmo solo l’imbarazzo della scelta su quale ‘conto’ appoggiare questa ennesima, indegna, bolletta: gli ayatollah che «stanno per preparare una Bomba da 40 anni»? O Netanyahu, che di atomiche ne ha stipate 100, ma gli altri non ne devono avere manco una? Trump, in piena crisi bipolare, a cui bisogna ricordare la sera ciò che ha detto la mattina? O il G7, che prima di sedersi a discutere ha il comunicato finale già scritto? Comunque sia, e per dare un sostegno anche specialistico a cotanta plumbea visione, ecco cosa ne pensa Cyril Widdershoven, prestigioso esperto del think tank ‘Oilprice.com’: «Finora, Israele ha evitato di colpire le infrastrutture di esportazione energetica di alto valore dell’Iran, optando invece per attacchi limitati a raffinerie e impianti di stoccaggio nazionali, principalmente nella zona di Teheran. Pur essendo destabilizzanti, queste azioni non hanno avuto un impatto significativo sui flussi di esportazione dell’Iran».
Settore energetico “neutrale”?
«La leadership iraniana sembra intenzionata a tenere il settore energetico fuori dal conflitto – aggiunge l’esperto – poiché i proventi derivanti da petrolio e gas rimangono un’ancora di salvezza finanziaria, generando oltre 36 miliardi di dollari all’anno. Oltre il 75% dell’elettricità iraniana dipende dal gas naturale e il regime sta già affrontando carenze di combustibile interno e instabilità energetica. L’aggravarsi di questa vulnerabilità potrebbe rivelarsi decisivo». Ecco, allora, le diverse opzioni, che avrebbero ricadute globali, se Israele scegliesse di adottare una strategia di guerra economica nel settore energetico, secondo lo schema Widdershoven.
Bersaglio | Scopo/Impatto | Effetto mercato | Rischio di escalation |
Isola di Kharg | Principale terminale di esportazione di petrolio (~90% delle esportazioni iraniane) | I prezzi salgono a 100-120 dollari al barile | Molto alto (probabile chiusura di Hormuz) |
Campo di gas di South Pars | Condiviso con il Qatar, fondamentale per l’approvvigionamento di GNL | Shock del GNL, volatilità dei prezzi globali | Elevato (forza maggiore del Qatar) |
Abadan/Bandar Abbas | Capacità di raffinazione nazionale | Disordini regionali, crisi interna | Medio-Alto |
attacchi informatici | Interruzione delle infrastrutture senza scioperi fisici | Interruzione controllata, negabilità | Basso-moderato |
«Un colpo diretto a South Pars potrebbe anche innescare le dichiarazioni di forza maggiore del Qatar – sostiene l’analista di Oilprice – interrompendo uno dei maggiori flussi di approvvigionamento di GNL al mondo e colpendo gli importatori in Europa e Asia. Egitto e Iraq, entrambi fortemente dipendenti dai flussi di gas regionali, si troverebbero ad affrontare una maggiore insicurezza energetica, alimentando potenzialmente disordini interni».
Rischi a livello globale
«Inoltre – specifica ancora lo studio – un’estensione del conflitto allo Stretto di Hormuz o a Bab el-Mandeb comporterebbe gravi rischi a livello globale».
Tipo di bersaglio | Tattiche iraniane | Impatto | Risposta occidentale |
navi della Marina degli Stati Uniti | Droni, sciami di missili | Provocazione, potenziali vittime | Dispiegamenti di portaerei, attacchi di ritorsione |
petroliere commerciali | Abbordaggio, sabotaggio | Impennata delle assicurazioni, deviazione degli scambi commerciali | Scorte navali, convogli |
Terminali energetici (Stati del Golfo) | Attacchi per procura, attacchi con droni | Perdita di produzione, ansia per l’offerta globale | Attacchi preventivi ai siti di lancio dell’IRGC |
infrastrutture sottomarine | sabotaggio sommergibile | Interruzione delle comunicazioni/commerciali | Contromisure segrete |
Navi metaniere | Attacco o crisi mirata | Carenza di GNL in Europa, impennata dei prezzi | Espansione della presenza navale NATO-UE |
Valutazioni economico militari
«Sebbene la marina iraniana non abbia pari opportunità in mare aperto, le sue capacità di droni e di attacco rapido, inclusi i missili da crociera Nasr e Noor, rappresentano una minaccia concreta per il trasporto commerciale. Minare punti critici come Hormuz o Bab el-Mandeb rappresenterebbe un’escalation asimmetrica con un impatto globale smisurato. Un attacco su vasta scala alle esportazioni di energia iraniana o al commercio marittimo potrebbe far salire i prezzi del petrolio a 120-150 dollari al barile. I mercati globali del GNL, già tesi, subirebbero un’impennata, soprattutto in Europa e Asia. Le tariffe assicurative delle petroliere salirebbero alle stelle e la deviazione attraverso il Capo di Buona Speranza aumenterebbe di settimane i tempi di consegna e comporterebbe miliardi di costi commerciali».
Insomma, con una situazione del genere, ‘populisti’ al potere in mezzo mondo. A cominciare dall’Europa. Dunque, che il G7 si dia una bella sveglia.
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Articolo di Piero Orteca dalla redazione di
17 Giugno 2025