DI ALFREDO FACCHINI
Cecilia. Giù la maschera
“Contro i siti nucleari servono le bombe USA”
Lo dice Cecilia Sala. Lo titola La Stampa. Guerra. Caccia americani. Bombe su Teheran.
Non più la cronista della protesta iraniana. Le donne. La Resistenza. Ma il megafono di un’agenda coloniale. Militarizzata. Occidentale. Il soft power si è tolto i guanti di seta.
Sala non racconta. Pretende. L’obiettivo è abbattere il regime. Il metodo? Le bombe. Come in Iraq. Come in Libia. Come in Afghanistan. Come sempre. Ogni pretesto buono, purché serva a sganciare tonnellate di morte.
Qui è giusto fare una precisazione
Io non ho nessuna riserva sul giornalismo militante. Anzi, sono il primo a praticarlo. Il primo a rivendicarlo. Ma che non si travesta da vittima. Che non si camuffi di imparzialità. Che non si nasconda dietro la maschera dell’equidistanza. Basta ipocrisie. Basta messinscena.
Il problema non è che Cecilia Sala stia da una parte
Il problema è che quella parte è armata, imperiale, coloniale. E che ce la presenta – senza se e senza ma – come giusta, naturale, salvifica.
“Servono le bombe USA”. È una chiamata alle armi, non un reportage. È un’ideologia, non un’informazione.
Cecilia Sala è militante
Milita per l’Occidente armato, bianco, moraleggiante. Per l’Occidente che si commuove solo dove conviene. È ora di smetterla raccontare la guerra come se fosse una fiction. Di vendere l’imperialismo in formato podcast. Chi vuole la guerra, lo dica. Chi crede nelle bombe, lo ammetta. Chi milita per l’Occidente armato, lo firmi sotto ogni titolo. E che non faccia la vittima. La perseguitata. Che non si presenti come agnello sacrificale dopo aver invocato i missili.
Che non chieda solidarietà mentre soffia sul fuoco.
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Alfredo Facchini