Duecentotrentuno

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Duecentotrentuno

Potrebbe essere un'immagine raffigurante mappa e il seguente testo "ISRAEL'S WAR ON GAZA Journalists killed since October 7, 2023 More than 230 journalist and media workers, mostly Palestinians, have been killed More Israel's war on Gaza since October 2023. 231 Palestinians Tohamy MuhamedA HanhemAHuls -Tanani Barrod Mohamed Mahmoud Kottah Al-Razzaq -Jabour Mahmoud Ammar Tayour al-Sarai AbuMatar Lebanese amAbdalah HMpedar Israelis raniZohar Radwan Fatima Mohareb Mansour မှ္နဝးပပသ Uhamed.3armaml.sotHiA-Thalthin BOCO Jazeera, shireen.ps Al-Odini 에F)), @AJLabs ALJAZEERA"

Il giornalismo, quello vero, avrebbe un compito preciso: disturbare i manovratori

Rovesciare pietre, anche quando sotto ci sono vermi potenti. Inseguire la verità anche quando si infila nei buchi neri del sistema. Invece oggi il giornalismo si limita a riportare note stampa, copincollare dichiarazioni, recitare bollettini. La critica, un vezzo da opinionista. L’inchiesta, una rarità.
Una volta si diceva: la stampa dovrebbe essere il cane da guardia della democrazia. E invece si è fatta barboncino da salotto. Accarezzata dal potere, nutrita da pubblicità, tenuta al guinzaglio dalla proprietà. Quando parla, lo fa con deferenza. Quando tace, lo fa con complicità.

E poi c’è Gaza. Dove il giornalismo è morto davvero

Massacrato, non metaforicamente, ma fisicamente. 231 giornalisti palestinesi uccisi dal 7 ottobre: questo il conto funebre pubblicato da Al Jazeera. Non numeri. Nomi. Vite. Testimoni. Anzi, ex testimoni. Perché un’intera generazione di cronisti è stata annientata sotto le bombe, mentre molti dei loro colleghi in Occidente hanno semplicemente scrollato le spalle. Qualcuno ha balbettato. Molti altri hanno ignorato, coperto, distorto. Per non rischiare lo stipendio.

In un mondo normale, 231 giornalisti massacrati in pochi mesi avrebbero aperto ogni telegiornale

Sarebbero diventati un caso internazionale. Avrebbero indignato, spinto alla mobilitazione, scorticato coscienze. Invece no. Il silenzio è stato assordante. Il cordoglio selettivo. Il principio di realtà sostituito dalla convenienza editoriale.

Il giornalismo quello vero dovrebbe inquietare

Dovrebbe svelare. Non dovrebbe servire. Dovrebbe resistere.
Chi si ricorda ancora di Ilaria Alpi? Di Mauro Rostagno? Di Giancarlo Siani? Di Giuseppe Fava? Di Vik Arrigoni? Di tutti quelli che hanno pagato il prezzo di non piegarsi?
Il loro mestiere era un rischio. Oggi è diventato una carriera. Una scalata. Una liturgia mediatica fatta di “equidistanza” tra vittime e carnefici, tra chi mente e chi denuncia. Una vergogna.
Smettiamola di chiamarlo giornalismo. Finché non tornerà a essere quel che dovrebbe: un atto di insubordinazione permanente.
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Alfredo Facchini
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Foto nei titoli da RSI