DI ALFREDO FACCHINI
Cinque volte SÌ
L’8 e il 9 giugno non cambieremo il mondo. Ma possiamo cominciare a rimettere le cose a posto. A dire che il lavoro non è merce. Che la dignità non è una concessione.
Cinque referendum
Contro l’arroganza neoliberista che svuota i diritti e riempie i dividendi. Contro il razzismo istituzionale che esclude, sfrutta, deporta.
SÌ. Se un operaio muore sotto un’impalcatura subappaltata, non può finire tutto in un rimpallo di responsabilità. L’impresa principale deve rispondere. La catena degli appalti è una catena di sangue. E chi comanda, paga.
SÌ. Chi lavora in una piccola azienda non è un lavoratore di serie B. Se viene licenziato ingiustamente, ha diritto a un risarcimento vero, non alle briciole. La legge deve valere anche per chi non ha avvocati d’oro.
SÌ. Basta licenziamenti facili. Serve il reintegro per chi viene cacciato senza giusta causa. Se il licenziamento è arbitrario, il torto non si compra: si ripara.
SÌ. Ogni contratto a termine dev’essere davvero temporaneo. La precarietà è violenza sociale. Ricatto, silenzio, paura. Basta con le vite a scadenza.
SÌ. Chi vive, lavora, cresce in questo Paese è parte di questo Paese. Cinque anni di residenza bastano per chiedere la cittadinanza. Nessuno è straniero nei diritti.
Cinque SÌ. Cinque atti di resistenza
Mai come oggi: ogni spazio che possiamo aprire, lo apriamo. Ogni diritto che possiamo riprenderci, ce lo riprendiamo.
L’8 e il 9 giugno, votiamo SÌ.
Senza se. Senza ma.
Contro chi ci vuole zitti nei posti di lavoro, precari nei contratti, invisibili nelle statistiche. Contro chi ha trasformato il lavoro in obbedienza, la cittadinanza in privilegio, la legge in privilegio per pochi.
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Alfredo Facchini