Gaza, la pace non è nel budget

14 voti a favore. Uno contro. Gli Stati Uniti — soli contro il mondo — hanno posto il veto alla risoluzione ONU per un cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza. È il primo veto dell’amministrazione Trump sulla Palestina. E gronda sangue.

Per ciò che Trump è: uno spregevole uomo d’affari. La guerra è accettabile, finché conviene. Finché c’è un alleato da coprire o un interesse da blindare Nel caso di Gaza, il calcolo è spietato e criminale. Trump copre Israele ad oltranza, non per cieca fedeltà, ma per interesse. Il patto è chiaro: sostegno politico in cambio di finanziamenti, voti e affari. Il mondo sionista che lo circonda — tra lobby evangeliche, apparati della destra israeliana e grandi gruppi economici — è parte integrante della sua macchina di potere. In cambio del veto, riceve appoggi, donazioni, quote di influenza. E mentre i bambini palestinesi muoiono sotto le bombe, l’America di Trump firma cambiali con l’inferno.

In Ucraina, Trump si affanna a trovare una “soluzione rapida” — non per spirito pacifista, ma per mettere ordine nei suoi interessi. Una pace negoziata, ma solo se pilotata, solo se gestibile. Solo se utile ai suoi affari, alle sue reti, ai suoi piani per spartirsi appalti, ricostruzione e risorse strategiche, a cominciare dalle terre rare, indispensabili per l’industria bellica, energetica e tecnologica.

L’obiettivo è doppio: disinnescare la rivalità con la Russia — considerata negoziabile, persino utile — e concentrarsi sul vero nemico strategico: la Cina. Gaza può aspettare. L’Ucraina può essere congelata. Ma l’economia di guerra va diretta, orientata, incanalata dove conviene.

Dove non c’è tornaconto, si lascia che la morte faccia il suo corso. Dove fiuta profitto, si scomoda per “risolvere” — ma alle sue condizioni. Trump non è solo complice: è l’architetto di un ordine mondiale dove il diritto vale solo se porta profitto, e la giustizia si misura in punti percentuale.

La pace non è nel budget.