La seconda resistenza

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

1° maggio

C’è una pagina infame della nostra storia che non fa scuola, non fa memoria: quella dei sindacalisti assassinati dalla mafia nel secondo dopoguerra. Una scia di sangue lunga oltre 40 nomi, dal 1944 al 1955.
Alcuni nomi: Andrea Raia, Casteldaccia 1944, Nicolò Azoti, Baucina 1944, Accursio Miraglia, Sciacca 1947, Epifanio Li Puma, Petralia Sottana, 1948, Salvatore Carnevale, Sciara, 1955.
In un altro Paese sarebbero vivi. In un altro Paese, avrebbero avuto almeno giustizia. Qui invece la mafia è anche la storia dei processi mai celebrati, dei fascicoli chiusi con la formula magica: ignoti. Delitti perfetti, ma solo per chi doveva indagare. È il “contesto”, avrebbe detto Sciascia.

“Mai una volta un colpevole. Come se una mano invisibile cancellasse ogni traccia.”

La mafia non è mai stata solo mafia. È stata complicità. È stata copertura. Rapporti di polizia che negano persino l’evidenza. Pietro Macchiarella, contadino ucciso nel ’47, secondo i carabinieri non poteva avere idee politiche: “era un vaccaro analfabeta, alquanto deficiente.”
Giuseppina Zacco, vedova di Pio La Torre, racconta: “Ci portavano in caserma per comizi non autorizzati. Abbiamo imparato a riunirci solo nelle case e nelle Camere del Lavoro.”
In Sicilia non c’erano fabbriche, solo feudi. E una sola possibilità per i contadini: lottare per la terra. Da una parte i latifondisti protetti da mafia, politica, forze dell’ordine. Dall’altra braccianti disperati, sindacalisti coraggiosi. “Si lavorava con la vanga, come ai tempi dei romani. Tre ore per arrivare ai campi. Quattordici ore di lavoro. Paghe da fame.”
Il simbolo di quella lotta è Placido Rizzotto, gettato in una foiba da Luciano Liggio, Corleone, 1948.

Era la mafia dei gabelloti

non ancora quella della cocaina e delle speculazioni. Ma già pienamente inserita nel potere. Nel luglio 1948, il deputato comunista Berti interroga il governo De Gasperi. Il ministro Scelba nega tutto. Per lui la mafia non è politica, è folclore.

“Un problema secolare, quindi irrisolvibile”

La storia è lunga. Già nel 1876 Franchetti e Sonnino raccontavano una Sicilia affamata e sotto le lupara.
Il grande salto arriva con lo sbarco del ‘43. Gli americani entrano in Sicilia con la lista di Lucky Luciano in mano.
E da lì, la mafia prende lo Stato per la gola.

Nel 1957, Sciascia aveva già capito tutto:

“Se la mafia uscirà dal latifondo e metterà radici nella città, nella burocrazia, nell’industria… non ce ne libereremo più.”
Aveva ragione. Palermo diventa Chicago. Il business diventa globale. La mafia si internazionalizza, traffica, ricicla, investe.
Oggi non uccide contadini. Non serve.
La mafia è sistema. È malapolitica. È impresa. È dentro lo Stato. E intanto quei sindacalisti, quei capi di una Seconda Resistenza, restano sepolti. Non nei cimiteri: nella rimozione.
Un Paese serio li avrebbe onorati come eroi. Noi li abbiamo dimenticati.
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Alfredo Facchini