IL CONTAGIO DELLA GUERRA: MISSILI TRA IRAN E PAKISTAN NELLA SFIDA MEDIORIENTALE

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Il Pakistan risponde agli attacchi iraniani di ieri contro presunte basi spionistiche israeliane con raid aerei sulla provincia del Sistan e Belucistan, obiettivo ufficiale «colpire gruppi terroristici anti-pakistani che operano in Iran». Azione di forza per l’orgoglio nazionale (come era stato per l’attacco iraniano precedente), e poi a frenare perché non finisca in catastrofe. «Il Pakistan rispetta pienamente la sovranità e l’integrità territoriale della repubblica islamica dell’Iran».
Al momento non ci sono maggiori informazioni sull’attacco, che è stato compiuto dopo giorni di grande tensione in Medio Oriente per via degli attacchi effettuati dall’Iran prima in Iraq e Siria, e poi in Pakistan
Altalena folle ora col Pakistan recentemente tornato ad ‘obbedienza Usa’ contro il primo nemico mediorientale israelo-americano, con derivazioni sciite armate in Libano Siria, Irak e Yemen.
A rendere ancora più difficile l’analisi di Piero Orteca.

Sospettabili azioni di “guerra ma non troppo”

Altra ‘ultima ora’, questa, seminascosta, dall’agenzia di stampa libanese Al Mayadeen, affiliata ad Hezbollah, e rilanciarta in tempo reale dall’israeliano Haaertz.  L’Iran ha/avrebbe attaccato due navi israeliane, «come rappresaglia per l’uccisione di un leader di Hezbollah in Siria e di un esponente di Hamas a Beirut». Navi (Chem Chilicon e Pacifica Gold), colpite tra la Maldive e l’India. Gli attacchi sarebbero avvenuti il 4 gennaio, e a stupire, che da allora e per due settimane, né Israele e, soprattutto, nemmeno gli Stati Uniti, avrebbero fatto trapelare la minima informazione. Con l’Iran che non vanta e neppure nega.

Iran con la pazienza al limite

Dopo i blitz missilistici contro basi di ‘gruppi nemici’, in Irak e in Pakistan, ieri il Ministro della Difesa degli ayatollah, Mohammed Reza Ashtiani, ha promesso ritorsioni adeguate dopo aver partecipato a una riunione di governo. Le sue dichiarazioni, certamente, vanno ‘interpretate’ oltre la forma, apparentemente molto aggressiva ma di fatto, difensiva. «Ovunque vogliano minacciare la Repubblica islamica dell’Iran noi reagiremo – ha detto – e questa reazione sarà sicuramente proporzionata, dura e decisiva». Una diffida in piena regola, ma scaltramente calcolata.

Solo “ritorsione” e non attacco

Il cambio di strategia arriva dopo il terribile attentato di Kerman, che ha fatto quasi 100 morti e che il governo di Teheran ha attribuito all’Isis. Un colpo duro per l’immagine di potenza regionale che la teocrazia persiana si è faticosamente costruita nel tempo. E dando spazio e diffusi sospetti su «gruppi terroristici anti iraniani» (gruppi sunniti, tra cui l’ISIS), hanno colto l’occasione dell’attentato per accusare anche Israele, e indirettamente, pure gli Stati Uniti. Se a tutto questo si aggiungono le tensioni nel Mar Rosso e gli attacchi anglo-americani alle milizie Houthi, i bombardamenti dell’Usaf sull’Asse di resistenza (i gruppi islamici sostenuti dall’Iran, in Irak e Siria), e gli scontri ormai quotidiani tra Israele ed Hezbollah in Libano, allora forse la misura è colma.

Gli ayatollah hanno “mostrato bandiera”

Gli ayatollah hanno ‘mostrato la bandiera’, ma senza cercare lo scontro diretto con i loro accaniti avversari. «Gli analisti – sostiene il New York Times – dicono che l’Iran sta camminando su una linea sottile, sperando di evidenziare la sua forza per mostrare ai sostenitori conservatori del governo interno che può colpire i suoi nemici, senza essere direttamente coinvolto in una lotta con Israele o con gli Stati Uniti e i loro alleati». È questo anche il parere del think tank Al Monitor, che sottolinea come «l’Iran ha scelto obiettivi facili a Erbil in Irak per evitare rappresaglie israeliane». In sostanza, gli analisti ritengono che alla base dell’improvviso strike missilistico iraniano ci possano essere esigenze di politica interna.

Parole tonanti per gli estremismi interni

Calcoli per bilanciare il peso decisionale che le varie fazioni hanno nel determinare la politica estera del regime. Secondo Al Monitor, «il governo ha effettuato l’operazione per placare i lealisti in patria, che da tempo si lamentano con l’establishment per il fatto che le sue promesse di dura vendetta per gli attacchi subiti da Stati Uniti e Israele non siano stati realizzati». Resta il fatto che il Corpo delle Guardie rivoluzionarie ha potuto lanciare ben 11 missili balistici su Erbil, uccidendo un uomo d’affari curdo che «avrebbe complottato col Mossad». Ma la vera motivazione del bombardamento non è affatto chiara. È stata citata anche l’uccisione di un tecnico nucleare iraniano avvenuta nel 2020. In una nota ufficiale, il Ministero degli Esteri ha invece detto che l’attacco «è una punizione per gli aggressori», senza specificare quali.

Difficile equilibrio tra fazioni di potere

Il presidente del Parlamento, Mohammed Bagher Galhibaf, si è rivolto direttamente a Tel Aviv e a Washington, dicendo loro che «l’era del mordi e fuggi è finita», ad avvertire. Mentre l’ideologo ultraconservatore delle Guardie rivoluzionarie, Alì Akhbar Raefipour, ha scritto: «Dall’Isis a Israele, tutti hanno imparato una lezione dal duro colpo inferto dal lungo braccio della Repubblica islamica». Molta retorica per poca sostanza, e per fortuna. Se la pubblicistica è questa, non meno trionfalistiche sono state le manifestazioni di propaganda che il regime ha alimentato in questi giorni.

Come descrive il New York Times, «martedì mattina murales e striscioni erano stati affissi tutti intorno al centro della capitale iraniana. Lodavano gli attacchi missilistici e giuravano vendetta».

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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

18 Gennaio 2024