IL PATRIARCATO DEL MASCHIO SCEMO VA SEMPRE COMBATTUTO

DI SIMONA D’AQUILIO

Io il patriarcato l’ho sempre aborrito, combattuto e avversato anche quando non ne ero affatto consapevole. Si perché la ribellione all’incasellamento della femminuccia in determinati ruoli sociali ce l’avevo in testa già a 5 anni, quando mi difendevo dal bambino che in spiaggia veniva ogni mattina a rompermi il castello di sabbia ed io volgevo il mio sguardo disperato verso papà. Ero tanto carina, da piccola, una bimba quieta ed educata e papà si rodeva il cuore per questa prepotenza quotidiana che mi faceva piangere sommessamente. La mamma del bulletto, ovviamente, restava impassibile a prendere il sole.
Però papà aveva capito una cosa fondamentale: devi imparare subito a difenderti da sola, a farti rispettare e quindi mi disse soltanto questo:”Amore mio, se domani torna quel bambino che ti prende a calci il castello di sabbia tu prendi la paletta e gliela dai in faccia. Papà non ti sgriderà. Sono troppi giorni che subisci e piangi. Ora basta! Una botta secca. Ok?”.
Così fu che il bambino tornò baldanzoso, certo che la sua vittima avrebbe solo e di nuovo pianto. Invece SBAM! palettata in faccia e bambino in fuga verso mammà la quale, ovviamente, cercò di capire cosa fosse accaduto al pargoletto ma io proseguivo a curare il mio castello e papà a prendere il sole sul lettino. Inutile dire che la mia autostima guadagnò 1000 punti.
Così come il patriarcato l’ho detestato quando erano le mie coetanee, al liceo, a rendersi complici del maschio scemo che lanciava i “complimenti” spinti o sgradevoli per strada. Per me era semplicemente inaccettabile che un maschio mi fischiasse come ad un cane o mi dicesse cose scontate come “Ah bella!”. Il vaffanculo sorgeva spontaneo ma perché essere corteggiate o ammirate non era quello ed io lo sapevo. Eppure, quante volte mi sono scontrata con le altre ragazze che mi dicevano “Eeeeh ma a te non si può dire niente! Ma quello era carino! E che ti avrà mai detto???”.
Erano complici di quel becero maschilismo nel quale ci facevano vivere. Complici inconsapevoli, certo, ma totalmente proiettate verso un ruolo di prede più che di artefici del proprio destino.
Così come avevo letteralmente l’orticaria quando le mie coetanee descrivevano il loro corredo di nozze preparato da madri, nonne, zie. Un’usanza che ho sempre trovato primitiva ed orribile perché le proiettava verso la vita matrimoniale come obiettivo fondamentale. Io preferivo che mi regalassero libri, concerti, bei costumi da bagno e piccole vacanze e ringrazio mia madre, mia nonna e le mie zie per esser state così moderne dal ritenere il corredo come un simulacro da abbattere tramite gli studi ed il proprio portafoglio.
Il patriarcato l’ho incontrato anche da giovane avvocata quando i titolari, maschi e brizzolati, dello studio legale pensavano di spaventarmi davanti alle insidie della professione forense fatta da sola, camminando sulle mie gambette, prospettandomi una comfort zone dentro il LORO studio nel quale, sì, avrei anche potuto ricevere dei miei clienti ma sarei stata sempre tutelata dalla LORO presenza accudente. Il messaggio era chiaro: mi stavano dicendo che una donna da sola non può cavarsela in questo mondo e, se giovane ed inesperta, rischia di sbagliare.
Da lì la decisione di salutarli e andarmene per fatti miei.
I libri di scrittrici come Virginia Woolf, Oriana Fallaci, Doris Lessing hanno fatto il resto: hanno confermato le mie scelte e le mie intuizioni ma non è bastato a farmi vivere in un mondo davvero esente da pregiudizi di genere.
Perché?
Credo che tutti noi abbiamo ancora tantissimo da fare, da rivedere, da modificare perché insieme alle violenze ed al femminicidio dobbiamo combattere la cultura che li alimenta e che serpeggia ancora in tanti, troppi ambiti.
Ce la faremo mai?