E SE GINO CECCHETTIN NON FOSSE L’ITALIA MIGLIORE?

DI RITA CAVALLARO

Lo abbiamo visto dignitoso e composto, Gino Cecchettin, mentre in tv lanciava appelli per aiutare a ritrovare la sua Giulia, abbiamo sperato insieme con lui che la figlia fosse ancora viva e, a tratti, abbiamo temuto che da un momento all’altro potesse finire nel peggiore dei modi, come quando Concetta Serrano scoprì in diretta che avevano ritrovato il cadavere di Sarah Scazzi in un pozzo di Avetrana. Con Gino Cecchettin l’Italia intera ha sofferto, rimanendo per otto giorni con il fiato sospeso nell’illusione che Giulia Cecchettin fosse volontariamente fuggita con il suo ex Filippo Turetta o, nel caso più tragico, fosse stata rapita da quel ragazzo che non accettava la fine della relazione. In una sovraesposizione mediatica, necessaria in un caso di scomparsa, che ha toccato punte di commozione elevate quando la famiglia, in una sorta di litania implacabile, ripeteva: “Filippo, torna, noi ti perdoniamo, riporta a casa Giulia”.

Poi qualcosa si è rotto, l’empatia con papà Gino si è come dissolta proprio nel giorno in cui la vicinanza avrebbe dovuto essere naturalmente massima: Giulia era stata trovata cadavere, in fondo a una scarpata. E la famiglia Cecchettin ha tradito le aspettative di un popolo abituato a vivere e condividere il lutto nel più religioso silenzio, tra fiumi di lacrime e ricordi di vita che sbiadiscono di fronte al disfacimento di un corpo. Un popolo che, tutt’a un tratto, si è trovato sotto accusa, incriminato del crimine che ha commesso solo ed esclusivamente Filippo Turetta e che la sorella Elena Cecchettin ha invece voluto addebitare alla collettività, al patriarcato e alla cultura dello stupro radicata nelle famiglie italiane. Quel mea culpa collettivo, figlio di una strumentalizzazione ideologica di sinistra diventata addirittura scontro politico, è lo spartiacque della frattura emotiva tra un Paese che ha sofferto per le sorti di Giulia e una famiglia travolta da un femminicidio che però non ha saputo incarnare la rappresentazione del dolore nell’immaginario collettivo. Anzi, ha perseverato così tanto nel j’accuse all’uomo bianco che la povera Giulia è passata quasi in secondo piano, mentre suo padre Gino veniva elevato a simbolo del cambiamento culturale, di quelli’Italia migliore cui tendere grazie a un lavoro di sensibilizzazione sui più piccoli, fin dalle scuole, affinché tutti i maschi imparino a rispettare le donne e a preservarle dalla violenza.

Non solo quella fisica, ma anche dalle ossessioni e dal sessismo che contribuisce all’idea della femmina-oggetto. Il culmine di quelle lezioni di vita profuse a reti unificate e del paternalismo di Gino Cecchettin si è toccato con il funerale di Giulia, quando il padre, dal pulpito, ha letto la sua lettera, con toni così composti da sembrare più un capo di Stato che un genitore al quale avevano appena ucciso una figlia. “Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne”, ha detto Gino, sottolineando che “ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione”. Si è poi rivolto agli uomini, “perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza, anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto”.

L’ennesima paternale, da ingoiare in silenzio se perfino il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Valditara, folgorato sulla via di Damasco trasmette la lettera di papà Gino a tutte le scuole, affinché venga letta agli studenti, come monito e insegnamento per il futuro. Se l’ex Pd attivista Lgbtq Anna Paola Concia, appena nominata alla presidenza del progetto “Educazione alle relazioni” annuncia che coinvolgerà in quel progetto Gino, il quale nel mentre ha lasciato il lavoro per dedicarsi all’impegno civico. Quel silenzio, però, è diventato una valanga di fango contro il papà di Giulia per alcuni tweet sessisti spuntati dal profilo X @ginother, lo stesso dal quale il genitore lanciava appelli per il ritrovamento della figlia. “Ti metto una mano nelle mutande”, “Memorabile sarebbe stata una foto a 4° col tanga”, “Se le compensano col culo, anche no”, !Se scoreggi durante un 69 può succedere”, sono alcuni dei commenti a sfondo sessuale ad attrici e personaggi dello spettacolo pubblicati dal 2018 in poi su quel profilo, chiuso dal proprietario non appena è partito l’attacco social, Qualcuno ha tentato di addebitare le frasi a un hacker, che però non avrebbe potuto retrodatare i post. Una doppia morale che ha travolto Gino. E a causa di una serie di attacchi social più ampi, da destra e sinistra, alla Concia è saltato anche l’incarico a coordinatrice del progetto.