THE COUNTDOWN

DI CLAUDIO KHALED SER

 

I prigionieri israeliani sono, molto probabilmente, detenuti dai miliziani delle Brigate, nei tunnel sotto Gaza City.
Questo spiega anche la difficoltà di Hamas a trattare con Israele per la loro eventuale liberazione in cambio di una tregua nei bombardamenti sulla Striscia.
Prima bisogna convincere i “combattenti” che da sempre sono restii ad ogni accordo con i sionisti, a meno di accordi estremamente vantaggiosi.
Vi ricordo che nel 2011 il soldato Shalit venne liberato in cambio di 1.200 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, ma nel giro di due giorni, circa 900 dei palestinesi vennero nuovamente arrestati e imprigionati.
Una “beffa” che sia le Brigate che lo stesso Hamas non gradirono molto.
Il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, deve negoziare con Al Qassam sulle richieste avanzate dai miliziani che chiedono non solo lo stop dei bombardamenti, ma anche il ritiro delle forze di occupazione israeliane.
Richieste ovviamente irricevibili da Israele.
Difficilmente tutti i 240 prigionieri sono ancora vivi e anche questo spiegherebbe la disponibilità di liberarne solo una cinquantina.
Ma se Israele avesse la conferma che molti di loro sono stati uccisi nei bombardamenti su Gaza, non avrebbe nessuna remora a continuare nelle operazioni di guerra, anche a costo di sacrificare i superstiti.
Per questo, Israele ha chiesto al Qatar, mediatore in questa fase, di avere un elenco completo dei prigionieri e l’assicurazione sul loro stato di salute.
Richieste ignorate dai miliziani.
“Condanniamo l’inaccettabile violenza degli estremisti in Cisgiordania”. Lo ha scritto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, dopo aver incontrato il re Abdullah II in Giordania.
La guerra dei coloni é una “guerra dentro la guerra” condotta in modo personale, molto spesso in contrasto con le direttive dell’esercito israeliano che non vede, in questo momento, la necessità di aprire un secondo fronte di fuoco.
Ma i coloni non intendono ragioni e continuano i loro assalti contro i Palestinesi, bruciando le loro case e distruggendo i raccolti.
Il Re di Giordania ha minacciato un intervento armato del suo esercito per tutelare i Palestinesi, ma é un’ipotesi molto remota, difficilmente la Giordania entrerebbe nel conflitto senza l’aiuto degli altri Paesi arabi, Libano in primis.
Hassen Ben Ayed, fratello di Hayette, mi ha parlato ieri sera di un imminente vertice a Beirut tra gli Hezbollah ed il Governo libanese.
I miliziani premono per un attacco, ma il Governo, consapevole dei rischi di una risposta “devastante” degli israeliani, appare molto cauto.
Alla riunione dovrebbero partecipare anche gli iraniani, da sempre sponsor degli stessi Hezbollah.
Ma anche l’ Iran si muove con cautela, nonostante le forti pressioni degli amici Houti yemeniti che sollecitano un impegno militare molto più deciso.
Non certo per paura di Israele, ma degli Stati Uniti, desiderosi da sempre di infliggere una “dura lezione” agli iraniani come dichiarato dal segretario di stato americano.
Sarà un nuovo vertice dei Paesi arabi, convocato da Hamas, a precisare le intenzioni degli attori sulla scena, ma la scritta “the end” su questo drammatico film, é ancora molto lontana.