LA TRAGEDIA VOLUTA

DI MARINO BARTOLETTI

 

A 14 anni si è abbastanza grandi per capire, valutare e soffrire. E purtroppo ricordare.

Anche se i ricordi, persino quelli più drammatici, a volte sono filtrati da curiose “distorsioni”. In questo caso quelle di un tranquillo ragazzo di provincia alla sua seconda settimana di liceo, che amava il calcio e che la sera di mercoledì 9 ottobre 1963 se ne andò a dormire inebriato e stordito, avendo ammirato in TV la potente bellezza del Real Madrid che nel primo turno di Coppa dei Campioni aveva travolto per 6 a 0 i Rangers di Glasgow (se non ricordo male con tre gol di Puskas). Quell’anno il calcio italiano aveva per la prima volta in lizza due squadre: il Milan, campione d’Europa uscente (che avrebbe iniziato il torneo al turno successivo e che nel proseguio sarebbe stato eliminato proprio da Puskas e compagni ) e l’Inter campione d’Italia che aveva battuto con un po’ di fatica l”Everton (e che invece proprio contro il Real, sette mesi dopo, avrebbe conquistato la sua prima Coppa).
“Chi li batte questi spagnoli?” fu la “preoccupazione” di quel ragazzo prima di coricarsi.
Nello stesso preciso momento, a meno di 300 chilometri di distanza, quasi 2000 persone, compresi 500 ragazzi o bimbi come lui, stavano morendo nella più terribile e purtroppo annunciata tragedia “civile” mai avvenuta nel nostro Paese: quella della diga del Vajont!
Un nome entrato da allora come una terribile e inestirpabile spina nel triste patrimonio del nostro dolore.
Di quei quasi 2000 morti (1917 per l’esattezza), un quarto non fu mai ritrovato: quasi la metà non venne mai riconosciuta. Eppure tutto era “previsto”! Tutti sapevano! Quella diga (peraltro perfettamente costruita, al punto da essere rimasta intatta malgrado un urto di dimensioni atomiche) era la stupida e avida sfida di uomini dissennati contro le leggi della natura: quella natura che già tre anni prima aveva mandato un “avvertimento” criminalmente ignorato.
E così quando il monte Toc vomitò i 270 milioni di metri cubi della sua rabbia, morirono solo gli innocenti. I paesini di Erto e Casso vennero squassati dal prima onda: Longarone venne rasa al suolo come Hirosima. Molti cadaveri furono ritrovati nell’Adriatico, portati dal Piave trasformato in una lunga, sinuosa bara d’acqua e di fango.
Tutta l’Italia pianse incredula, terrorizzata, sgomenta…
Il ragazzo di questo racconto si svegliò con le informazioni ancora reticenti, ma già terribili dei notiziari radiofonici. Conosceva quella valle: era sulla strada che ogni estate lo portava in montagna. Da allora ci sarebbe tornato almeno una volta TUTTI gli anni!
Curiosamente, il calcio sarebbe entrato nella sua vita: ma lo stesso avrebbe fatto anche quell’incancellabile dolore.
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