“SINDROME AFGHANA”: DOPO IL NO DEL CONGRESSO A KIEV BIDEN PROVA A RASSICURARE GLI ALLEATI

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO

‘Sindrome afghana’, ricordando le reazioni all’affrettato disimpegno americano dall’Asia centrale. Ieri, Biden, al telefono con molti dei leader occidentali ha provato a rassicurarli: ‘gli Stati Uniti continueranno a onorare l’impegno di sostenere l’Ucraina. Ma la Difesa ‘piange miseria’ (ci sono solo 1,6 dei 25,9 miliardi chiesti dalla Casa Bianca). Resa dei conti in casa repubblicana, i duri ‘trumpiani’  bocciano lo speaker delle Camera McCarthy.

“Allow, sono Biden da Washington…”

Secondo il New York Times, il Presidente ha parlato con i primi ministri di Canada, Giappone, Regno Unito e Italia; col Cancelliere tedesco Scholz, col Ministro degli Esteri francese, con Ursula Von der Leyen e con Michel (UE), col Segretario generale della Nato Stoltenberg e con i Presidenti di Polonia e Romania. Si è trattato di un’operazione diplomatica indispensabile, sicuramente studiata e suggerita dal Consiglio per la Sicurezza nazionale e attuata in tempi brevissimi. Una ‘excusatio’ molto ‘petita’, quella chiesta di fatto alla Casa Bianca. Con le Cancellerie di mezzo mondo in fibrillazione, dopo il voto del Congresso Usa, che aveva cestinato, sabato notte, una tranche da sei miliardi di dollari di aiuti destinati a Kiev.

Perenne paranoia elettorale

Il confronto sulla politica di bilancio, a Washington, è diventato semplicemente un infuocato palcoscenico elettorale, in vista delle Presidenziali del prossimo anno. E così, per non andare allo ‘shutdown’, cioè alla chiusura di molte agenzie governative, all’ultimo minuto dell’ultimo giorno, prima che scadessero i rigorosi termini imposti dalla procedura, si è arrivati a un accordo di compromesso. I Repubblicani hanno rinunciato a inserire, nel testo del documento di previsione contabile, i fondi per la lotta all’immigrazione in arrivo dal loro ‘fronte sud’ (il Messico). Mentre, dall’altro lato, pure al Senato dove hanno la maggioranza, i Democratici, hanno accettato che venissero eliminati gli stanziamenti per l’Ucraina.

“Regista occulto? Senz’altro Joe Biden, che ha firmato la legge e ha dato lui il via libera a quello che a molti alleati, specie in Europa, è sembrato un vero e proprio ‘patto scellerato’.”

“Leggina” di un mese, ma dopo?

Quella votata è una legge-proroga, che vale fino a metà novembre e che lascia la porta aperta ai buoni propositi di una nuova proposta di finanziamento per le forze di Zelensky. Ma per ora, sono solo chiacchiere, perché l’impatto psicologico del voto dell’altra sera, sulle aspettative di chi si fa uccidere in una tremenda guerra di logoramento (gli ucraini) e sugli alleati più vicini che lo sostengono (gli europei) è stato devastante. Il problema, politicamente parlando, per Biden è sempre lo stesso: come continuare a giustificare gli enormi esborsi di denaro pubblico, per sostenere una guerra senza alcun piano definito per chiuderla? Cioè, la famosa frase della Casa Bianca, che afferma di voler aiutare Kiev militarmente «fino a quando sarà necessario», ha un senso strategico? O significa, soltanto, andiamo avanti, mettiamo i soldi in questa macabra ‘slot-machine’, tanto, prima o dopo qualcosa succederà.

“Se lo chiedono tutti, anche in Russia, ovviamente. Ma la differenza è che, nelle democrazie occidentali, l’opinione pubblica, votando, può capovolgere le visioni monolitiche del Palazzo”.

Dubbi americani sulla guerra

Il New York Times, giornale progressista assolutamente vicino alle posizioni Democratiche: «Ucraina e Russia hanno combattuto intense battaglie da giugno, quando Kiev ha lanciato una controffensiva sostenuta da miliardi di dollari in aiuti militari concessi dagli alleati della Nato. Ma, da allora, relativamente poco terreno è passato di mano». E ancora, per dare un’idea della eccessiva lentezza con la quale avanzano i soldati di Kiev, per cercare di riprendersi un po’ del territorio invaso dai russi: «Gli ucraini hanno conquistato il villaggio di Robotyne, il mese scorso, dopo settimane di combattimenti. Da allora ci sono state segnalazioni di altri piccoli progressi. L’Ucraina deve farsi strada attraverso chilometri di territorio e campi minati prima di raggiungere la città fortificata di Tokmak, 15 miglia a sud-ovest di Robotyne. Successivamente, il prossimo obiettivo (la chiave strategica n.d.r.) dovrebbe essere Melitopol. A 31 miglia da Tokmak».

L’impossibile difficile da ammettere

Insomma, prima ancora di arrivare al bersaglio principale della loro controffensiva, gli ucraini devono ancora avanzare di almeno 60 chilometri. Tra campi minati, trincee, reticolati, trappole esplosive, colpi d’artiglieria, raffiche di mitragliatrice, missili, mortai e bombe di aereo. E dopo tutto questo, arrivati alla periferia di Melitopol, dovrebbero ricominciare a combattere per una nuova Stalingrado del Terzo millennio.

“Facile ora capire perché parte degli alleati (a crescere), e sicuramente anche gli ucraini, corrono il rischio di ricadere in una ‘sindrome afghana’. Non è la prima volta che gli americani lasciano qualcuno con la guerra in casa, da Kabul, all’Iraq e prima ancora”.

Ma la Difesa piange miseria

Il sottosegretario alla Difesa di Washington, Michael J. McCord, ha inviato una relazione ai presidenti di Camera e Senato, nella quale si mette nero su bianco che il ministero ha ancora «soltanto 1,6 miliardi di dollari dei 25,9 miliardi che il Congresso ha messo a disposizione del Pentagono per ripristinare le scorte di armamenti e materiali inviati all’Ucraina».

I trumpiani silurano la speaker della Camera

L’amaro addio dello speaker repubblicano Kevin McCarthy, silurato dall’ala trumpiana del suo partito. L’ex portavoce (di fatto il presidente dei lavori dell’Assemblea), in conferenza stampa dopo il suo siluramento, ha sottolineato di«non essere pentito per aver negoziato con i democratici. Mi hanno insegnato a risolvere i problemi non a crearli». Interrogato sulla operazione messa in moto dal repubblicano trumpiano Matt Gaentz, che ha portato al suo siluramento ha detto che «si tratta di un attacco personale. Loro non sono veri repubblicani. Non sono del partito di Reagan».

 

 

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

4 Ottobre 2023