GIORGIA MELONI UNDERDOG ACCOPPATA DA SANTANCHE’ E LA RUSSA

DI GIOACCHINO MUSUMECI

Gioacchino Musumeci

 

Chissà quanto Giorgia Meloni vorrebbe imbavagliare Ranucci reo di averci aperto un mondo che l’informazione pubblica avrebbe caldamente evitato di mostrare.

E’ giusto che non cali l’attenzione sulla ministra del turismo.
E’ assolutamente legittimo pretenderne le dimissioni.
La sua scompostezza istituzionale è letteralmente disfunzionale.
Era noto che uno dei problemi del governo fosse la tendenza agli strafalcioni degli alti ufficiali scelti dalla premier, ma le gaffes giornaliere erano carezze rispetto all’assurdo elevato a mille offerto dalla ministra del turismo. Sotto una gigantesca lente di ingrandimento e sostenuta da personaggi del calibro di Briatore, la ministra si ostina a mostrare, oserei dire rivendicare atteggiamenti da negriera e narrative da indice di gradimento fognario a prescindere da qualsiasi esito giudiziario. E’ ancora presto per quantificare danni ma arriveranno come una frana fragorosa.
Inizialmente mi sono domandato perché la Meloni si ostinasse a soffocare nel masochismo politico di matrice Berlusconiana; perché non si fosse immediatamente ed elegantemente defilata come avrebbe richiesto l’evidenza che la ministra ha reiterato menzogne prima alla sua premier, poi in Senato e quindi ai cittadini, cercando goffamente di occultare qualcosa più visibile di un capodoglio in una comune vasca da bagno.
Per non parlare poi della seconda carica dello Stato prodottosi in una difesa del figlio talmente sgangherata da ricordare in pieno il famoso processo per stupro del 1979, dominato dall’idea che una donna di buoni costumi non può subire violenza.
Poi ho capito le ragioni per cui la Meloni non può uscire dalla gabbia che le costerà in poco tempo più danni di quelli provocati da Schlein e Conte insieme. La risposta è contenuta nella rivendicazione del passato politico da underdog, cioè la formazione politica ghettizzata per definizione. Meloni era faticosamente riuscita nel tempo a proporre un Rebranding di FDI dai connotati comunque ambigui. L’impressione era che non si fosse minimamente emancipata dal post fascismo evidentemente infiltrato nel suo partito che piaccia o meno, è un prodotto ideologico del vecchio MSI. Quando si è assimilata una cultura del genere, lo squadrismo prevale sul ruolo politico e la necessaria compostezza istituzionale, essere premier diventa il mezzo per imporsi anche sbagliando palesemente.
Il limite della Meloni sta nella rigidità della reazione che cozza quasi patologicamente con l’evidenza. Il raziocinio nel problem solving, senza il quale un premier è sicuramente spacciato, non è nelle corde della Meloni. Lo sono invece atteggiamenti muscolari spropositati e infarciti di complottismo come nello scontro con la magistratura, il fare muro contro qualsiasi attacco esterno, anche quando si sa perfettamente che il target attaccato è indifendibile.