«PIU’ CI SBIANCHETTATE, PIU’ NOI VINCIAMO»

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Putin ha chiamato Lukashenko per complimentarsi della vittoria al torneo ATP 1000 di Madrid della tennista bielorussa Aryna Sabalenka, che già a Gennaio aveva trionfato nell’Australian Open. Nel frattempo, nemmeno un mese fa il russo Andrej Rublev si era aggiudicato il prestigioso torneo di Montecarlo.

Sarà stata una telefonata intrisa di ironia. Perché a quanto pare l’unico modo per fermare gli atleti russi e bielorussi è non farli giocare. Proprio come hanno fatto gli inglesi temerari di Wimbledon, sputando letteralmente sul principio di non discriminazione, sacra regola dello sport e su cui si fondano tutte le Costituzioni moderne, oltre a una miriade di convenzioni internazionali.

Insomma, a quanto pare, per far dimenticare ai popoli che esistono Russia e Bielorussia non basta sbianchettare la bandierina che compare sul display del punteggio in occasione di ogni incontro; e nemmeno far scomparire quei colori dalla classifica mondiale. Quando, percorrendo quella classifica dall’alto verso il basso, tra tante bandierine si scorge un vuoto, allora significa che l’atleta, maschio o femmina che sia, è russo o bielorusso.

In ogni finale, le pompose cerimonie non devono mostrare quelle bandiere, e nemmeno gli inni nazionali possono essere eseguiti. Per i simboli ostentati e le note musicali che risuonano nell’aria, chi perde contro un russo o un bielorusso deve sembrare di aver vinto.

Immaginiamo come possa sentirsi un atleta privato della propria cittadinanza ogni volta che scende in campo. Ma far sentire l’atleta russo o bielorusso un apolide pare non funzionare a dovere, perché continuano a vincere. E sarà stato proprio questo, con ogni probabilità, il contenuto della telefonata tra Putin e Lukashenko: «Più ci sbianchettate, più noi vinciamo».