DI ANTONELLA PAVASILI
Arriveranno tra qualche giorno, come ogni anno, nelle settimane centrali di luglio.
Qualcuno è già arrivato.
In auto, in pullman, più raramente in aereo.
Tanti e tutti immediatamente riconoscibili.
Li riconosci dagli occhi prima ancora che dalle targhe delle auto, o dalla parlata, o dall’abbigliamento.
Occhi famelici, sbarrati, pronti ad ingoiare quanto più spazio, luce, immagini possibile.
Vengono da quei paesi dell’Europa che decenni fa, o anche da poco, li hanno accolti.
Svizzera, Belgio, Germania.
Le loro auto hanno targhe diverse dalle nostre ma, se guardi bene, da qualche parte, in qualche angolo c’è sempre lo stemma con la I maiuscola, o il tricolore.
Che significa Italia.
Perché loro lo urlano che sono Italiani, sempre.
Indossano abiti da vacanza e hanno sempre una borsa piena di cioccolata che distribuiscono a parenti e amici, con la gioia, tutta siciliana, di manifestare il loro affetto.
Parlano una lingua strana.
Un misto di italiano e dialetto intercalato da “oui” o “ja”.
E raccontano.
Di terre dove tutto funziona meglio, dove la differenziata è roba antica, dove le strade sono pulite.
Di terre che d’inverno ti spezzano le ossa, e ti piegano la schiena, e ti deformano le mani.
Di terre che non hanno profumo di agrumi, di mare, di sale e di sole.
E raccontano di un’abitudine alla nostalgia, di un dolore lieve, passato, presente e anche futuro.
Sì, futuro.
Perché i loro figli, nati e cresciuti lì, lì resteranno.
Ci parlo sempre, quando posso, con questi eroi della sopravvivenza, ognuno di noi ha un parente o un amico.
“Cuntu l’anni, i misi e i jonna. Picchì poi nni ritiramu io e me mugghieri, nni facemu a vicchiaia ‘nta ddu mussittu i casa chi si u spremi ci nesci sangu…ma i nostri figghi, iddi restunu dda…”
E senti il peso di quella condanna all’infelicità in quelle parole, perché quando sono partiti hanno lasciato qui tanti affetti e, spesso, quando rientrano, lasciano lì amori ancora più grandi.
E ti assale un moto di tenerezza e gratitudine per aver avuto un destino meno amaro.
Ma loro ci hanno fatto l’abitudine alla nostalgia, questi eroi.
Scacciano la malinconia e ti mostrano i pomodori e il basilico appena presi in campagna.
Li annusano e, con aria beata, ti dicono “chi ciauru…”
E prima di salutarti aprono la borsa e ti danno la cioccolata ed è come se dicessero “comunque noi non cambieremo mai”.
E si avviano, giù, verso il mare.
E lo guardano, lo accarezzano.
Se lo mangiano…sì, loro il mare se lo mangiano.
Ne mangiano quanto più possono, ma non ne sono mai sazi…
Nella foto il mare di Sicilia 

A Scala Torregrotta, il mio paese.
