ROBIN WILLIAMS, A SETTE ANNI DALLA SCOMPARSA, IL VOLTO TRISTE DELLA COMICITÀ

DI UMBERTO SINISCALCHI

… Robin scalda il cuore, ti fa ridere, piangere e pensare. Da “nano nano” (Mork e Mindy) al ribelle Dj Cronauer di Good morning Vietnam. Passando per il prof Keating de “L’attimo fuggente” alla “Leggenda del re pescatore”.
Non dimentico “Mrs Doubtfire”, “Capitan uncino” e, naturalmente, “Will hunting” che, dopo tre nomination, gli è valso l’Oscar come miglior attore non protagonista.

Un mostro di bravura, il vecchio Robin. Come tanti attori americani, oltre a recitare, ballava, cantava, intratteneva ed era il miglior imitatore della sua generazione (nasce nel ’51).

Che non fosse uno tranquillo l’ho scoperto leggendo la biografia di John Belushi “Wired”, titolo italiano “Chi tocca muore”, scritta da Bob Woodward, che insieme a Carl Bernstein ha tirato fuori il Watergate, scandalo che ha fatto dimettere Nixon. Robin dichiarava di fare uso di droghe ed alcol, spesso lo ha fatto con Belushi, ma di avere voglia di uscirne.

Non so se ce l’abbia fatta, sta di fatto che, di successo in successo, il Duemila ha segnato un forte calo di popolarità per Robin. È seguita la depressione e, ironia della sorte, la vita gli ha presentato il conto con una malattia degenerativa. Proprio a lui, così attivo e, sullo schermo, sempre positivo ma in realtà così malinconico, come spesso capita ai comici.

Otto anni fa, oggi, Robin ha detto basta. Si è impiccato consegnando al mito la sua esistenza.

Stasera, come faccio spesso, guarderò un suo film. Per ora “nano nano” vecchio Mork. E carpe diem. Sempre.