CAIVANO, QUANDO ESSERE GAY È ANCORA UNA COLPA

DI UMBERTO SINISCALCHI

Maria Paola aveva 22 anni e tutta la vita davanti. Da un anno aveva una relazione gay con una ragazza, e a suo fratello Michele non andava giù.
Così, la notte tra venerdì e sabato, lo scooter guidato dal fratello, 30 anni, disoccupato con due figli, si è accanito contro le due ragazze, fino a farle cadere.
Maria Paola è morta sul colpo, la sua compagna, che da un po’ si fa chiamare Ciro, ha riportato lievi ferite.
All’inizio di è pensato ad un incidente. Poi il fratello di Maria Paola è crollato. “Volevo darle una lezione”, ha detto ai Carabinieri, “era infettata”. Così l’accusa nei confronti dell’uomo si è trasformata in omicidio preterintenzionale aggravato da omofobia. Ora è in carcere.
Purtroppo non c’è troppo da stupirsi. Dicono che l’omosessualità sia stata ormai sdoganata, ma non sempre è così.
Vergogna, incomprensione, “che dirà la gente?” sono spesso presenti nei pensieri dei parenti.
E allora si tenta di far “ragionare” il o la “peccatrice” e riportarla sulla “retta via”.
C’è chi si affida alla Chiesa, che ricorre ancora a psicologi pronti a giurare che essere gay sia “una malattia” quando l’OMS non la considera più tale dal 1990. Chi tace e si sfoga umiliando e malmenando la “vittima”. Chi per la vergogna, dopo averle tentate tutte, caccia di casa il “frocio” o la lesbica. E chi, al culmine della follia, decide di “dare una lezione” che poi si trasforma in tragedia.
C’è ancora tanto da fare per aiutare seriamente i gay a vivere una vita serena. Ricordando che, come per la violenza sessuale, il primo “colpevole” è quasi sempre la famiglia. Che tace, giudica e spesso emette la sua macabra sentenza di morte.